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Meno crescita, stesso deficit. Il Def bellico di Draghi

Il governo riprogramma la crescita per il 2022, alla luce della crisi energetica e della guerra in Ucraina. Quest’anno non si andrà oltre il 3,1%, mentre nel 2023 l’asticella del Pil si fermerà al 2,4%. Pesano gas e petrolio. Ma il disavanzo non subirà variazioni. Per ora

Il secondo Def di Mario Draghi, il primo dal sapore bellico. Il governo guidato dall’ex presidente della Bce ha appena licenziato il Documento di economia e finanza, che riscrive gli equilibri finanziari dell’Italia, alla luce del clima economico internazionale sconvolto prima dalla corsa delle materie prime e poi dalla guerra in Ucraina che ha accelerato la galoppata dei prezzi. Inevitabile, per l’esecutivo, prenderne atto. Tanto per cominciare, la crescita che, bozza alla mano, nel 2022 viene programmata dal governo al 3,1% rispetto al precedente 4,7%. La previsione del Pil reale è invece del 2,4% nel 2023, dell’1,8% nel 2024 e dell’1,5% nel 2025. Pesa come un macigno, ovviamente, lo spropositato aumento dei costi energetici, legati al gas e al petrolio e frutto del conflitto in Ucraina. Ed è lo stesso governo a metterlo nero su bianco nel Def.

“Cumulando gli effetti dei rincari di petrolio e gas ne deriverebbe un impatto negativo di 8 decimi di punto per il tasso di variazione del Pil nel 2022, di 5 decimi di punto nel 2023 e un impatto nullo nel 2024”. In altre parole, ad oggi la guerra scatenata dalla Russia è costata all’Italia lo 0,8% del Prodotto. “Nei primi mesi dell’anno in corso i prezzi del petrolio hanno mantenuto la tendenza al rialzo già emersa a conclusione del 2021, accentuata però dalle tensioni derivanti dal conflitto russo-ucraino. La proiezione attuale, basata sui contratti futures, prevede livelli del prezzo del petrolio più alti su tutto il triennio. In particolare, si prevede un picco di 99,8 dollari al barile nel 2022, cui segue una moderazione nel 2023 e nel 202435. Rispetto a quanto prospettato a settembre, il livello dei prezzi è più alto in media di circa 26 dollari nel triennio”.

Poi c’è il capitolo gas. “Alla luce dei recenti sviluppi sul fronte ucraino, si è delineata la necessità di considerare tra le variabili esogene anche il prezzo del gas che ha subìto incrementi molto rilevanti. Le ipotesi avanzate riguardano il profilo del prezzo del gas e sono basate sui contratti futures. Nello specifico, il prezzo nel 2022 raggiungerebbe livelli quattro volte superiori a quelli estrapolati dai contratti temporalmente coerenti con il documento di settembre, per poi ridursi negli anni successivi pur rimanendo su livelli molto superiori rispetto ai livelli registrati nel passato recente”.

Il governo poi ipotizza anche lo scenario più sfavorevole, quello cioè in cui la guerra in Ucraina porti al blocco effettivo degli “afflussi di gas e petrolio dalla Russia. In questo caso, la crescita del Pil in termini reali nel 2022 sarebbe pari a 0,6% e nel 2023 allo 0,4%. In questo scenario, si precisa nella medesima bozza, viene ipotizzato che “non tutte le azioni intraprese per diversificare gli approvvigionamenti di gas producano i risultati desiderati per via di problemi tecnici, climatici e geopolitici, e che anche gli altri Paesi Ue si trovino a fronteggiare carenze di gas. Per l’Italia si ipotizza una carenza di gas pari al 18% delle importazioni in volume nel 2022 e al 15% delle importazioni nel 2023”.

Tornando ai saldi di finanza, Palazzo Chigi ha deciso di confermare l’obiettivo di rapporto tra deficit e Pil al 5,6% del Pil per l’anno in corso, del 3,9% nel 2023 e del 3,3% nel 2024. Il rapporto debito/Pil viene invece programmato al 146,8% nel 2022, al 145% nel 2023, al 143,2% nel 2024 e al 141,2% nel 2025. Meno male che dalle parti di Bloomberg c’è aria di ottimismo, guardando all’Italia. Gli economisti dell’agenzia americana ritengono infatti che l’Italia ce la farà. Ovvero, anche se il Paese dipende in maniera importante da gas e petrolio russo, nello scenario base di una guerra in Ucraina che si trascinerà a lungo il Pil, dovrebbe scendere dal 6,6% del 2021 al 2,2% quest’anno. Meglio di quanto previsto da Confindustria (1,9%).

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