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La Disney e l’identità di genere. Scrive il prof. Celotto 

Entro la fine dell’anno almeno il 50% dei personaggi Disney rappresenterà minoranze razziali e della comunità Lgbtq per dare maggiormente il senso della inclusività. Si tratta di temi complessi anche per il diritto e a molto serve la cultura della conoscenza e della comprensione, spiega Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università di Roma 3

Uno dei presidenti della Disney ha annunciato che entro la fine dell’anno almeno il 50% dei loro personaggi rappresenterà minoranze razziali e della comunità Lgbtq per dare maggiormente il senso della inclusività.

Sono decisioni importanti per favorire la cultura del genere (gender in inglese), perché il diritto alla identità di genere si promuove proprio con lo sviluppo della cultura.

Tutti ricordiamo quanto sia stato vivace e difficile il dibattito sul Ddl Zan, che mirava a rafforzare la tutela delle minoranze di genere.

Ma dobbiamo anche essere consapevoli di quanto sia difficile il tema del genere.

Innanzitutto, dobbiamo tenere distinti il problema della differenza di sesso da quella di genere, anche se spesso si fanno confusioni e sovrapposizioni.

Il sesso rappresenta i caratteri anatomici e da decenni esistono forme di tutela, a partire dagli articoli 3 e 51 della Costituzione, anche se non sempre di facile attuazione. Si pensi a tutte le difficoltà per portare anche le donne alle più alte cariche dello Stato, da ultimo emerse ancora nelle elezioni al Quirinale. Con una notazione linguistica importante. La questione di una donna al Quirinale è un problema di parità di sesso e non di genere, come pure comunemente si dice.

Perché il genere non è la differenza tra uomo e donna, ma è la percezione e la apparenza che si sente e di dà di se. Ecco che non sempre il genere corrisponde al sesso anagraficamente assegnato ed ecco che nascono tutte le ipotesi di trans-gender, cioè Lgbtqia+ e così via.

Sulla tutela della identità di genere il nostro diritto è ancora indietro, anche se la Corte costituzionale ha riconosciuto che il diritto alla identità di genere è “espressione del diritto all’identità personale” (articolo 2 della Costituzione e articolo 8 della Cedu) e, al tempo stesso, di “strumento per la piena realizzazione del diritto, dotato anch’esso di copertura costituzionale, alla salute” (sentenza 221 del 2015).

Ma a livello pratico per tutelare il genere abbiamo soltanto la legge numero 164 del 1982, con tutte le difficoltà per modificare il esso attribuito alla nascita. E poco di più.

Si pensi a quanto accade in altri Paesi, come per esempio in Germania dove da qualche anno alla nascita si può non dichiarare il sesso ed essere fin da subito dichiarati come “altro” e non essere racchiusi nel binomio “M/F”.

Sono temi complessi anche per il diritto e a molto serve la cultura della conoscenza e della comprensione, come voleva fare il Ddl Zan e come utilmente farà la Disney.


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