Dopo l’accordo da 9 miliardi di metri cubi annui firmato in Algeria, il premier italiano partirà per Angola e Congo la settimana prossima, mentre a maggio toccherà al Mozambico. La spinta anche verso le rinnovabili e il ruolo da playmaker dell’Eni
Non poteva essere solo l’Algeria. Dare il benservito a Mosca costa molto di più di un singolo accordo con un solo Paese, seppur il secondo fornitore di gas per l’Italia. Quell’Algeria che ad oggi, grazie all’Eni, garantisce allo Stivale non meno di 21 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Flussi che ora sull’onda dell’accordo firmato ieri da Luigi Di Maio e Mario Draghi dopo l’incontro con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, potrebbero aumentare.
DESTINAZIONE GAS
La cifra si avvicinerebbe ai 29 miliardi che rappresentano i volumi di gas venduti ogni anno da Mosca a Roma. Ma è sempre un primo passo verso un progressivo sganciamento dall’ex Urss e magari un assaggio di disimpegno italiano dal finanziare la guerra mossa da Vladimir Putin contro l’Ucraina. Eppure, non basta. Serve più gas e più velocemente, anche perché l’accordo di Algeri ci metterà del tempo prima di tramutarsi in 9 miliardi di gas aggiuntivo pompati verso l’Italia. Realisticamente il Paese nordafricano potrebbe aumentare il gas inviato in Italia di 2-3 miliardi di metri cubi nel giro di poco tempo e di altri 4-5 miliardi nel giro di 5 anni. Non una soluzione miracolosa né sufficiente per colmare un’ipotetica interruzione drastica dei flussi russi.
DRAGHI ALLA CAMPAGNA D’AFRICA
Questo Draghi lo sa bene, al punto da aver messo a punto un’agenda che assomiglia molto a una campagna. Ovvero bussare alle porte di Paesi africani produttori di energia per mettere in sicurezza l’Italia il prima possibile. Come a dire, prima si arriva a sopperire al fabbisogno tricolore oggi coperto dalla Russia, meglio è. Subito dopo Pasqua il premier si recherà in Congo e in Angola, precisamente nei giorni 21 e 22 aprile, scrive l’agenzia Nova.
Mentre, ai primi di maggio, Draghi volerà alla volta del Mozambico con l’obiettivo di portare avanti la strategia di diversificazione energetica. E qui entra in gioco infatti non solo la possibilità, alta, di stringere nuovi accordi per la fornitura di gas, ma anche di energia pulita. Lo si è visto proprio in occasione dell’intesa firmata con Algeri, la cui cooperazione con Roma non si limita solo al gas ma apre importanti opportunità per le aziende italiane nel campo del fotovoltaico e dell’idrogeno poiché il governo algerino ha recentemente approvato una strategia nazionale che mira a promuovere le energie rinnovabili ed accelerare la transizione energetica.
RUOLO DA PLAY MAKER PER L’ENI
Ma si sa, la politica non viaggia sempre alla stessa velocità dell’industria. E se Draghi riuscirà a portare a casa fior di accordi grazie ai quali staccare il tubo dalla Russia, sarà l’Eni guidato dal ceo Claudio Descalzi (presente ieri ad Algeri insieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio) a garantire l’operatività dei patti. Gli stessi piani del Cane ai sei zampe prevedono una crescita di investimenti e attività nei Paesi africani nei prossimi anni. Oltre al Nord Africa, a sud del Sahara i principali hub dell’Eni si trovano in Congo, Angola, Nigeria e Mozambico, aree in cui le attività estrattive sono aumentate in modo considerevole.
Più nel dettaglio, secondo le informazioni in possesso di Formiche.net, il percorso di diversificazione delle forniture per sopperire alla mancanza di gas russo prevede una copertura graduale dei prossimi inverni, 2022-2023, 2023-2024 e 2024-2025, con partenza immediata quest’anno. La prima produzione addizionale, che non è solo Eni, arriverà per l’appunto dall’Algeria dal sistema di gasdotti tunisino e algerino, mentre altra capacità aggiuntiva potrebbe arrivare attraverso il Greenstream dalla Libia.
In Algeria e in Libia Eni potrà essere più rapida e svolgere operazioni tecniche in grado di aumentare la produzione da progetti già avviati. Inoltre, Egitto e Qatar contribuiranno per circa 3 miliardi di metri cubi di gas liquedatto nel 2022 e circa 5 nel 2023 e per il 2023-2024 Eni potrà avere Gnl addizionale che arriverà dal progetto Eni in Congo, che potrà contribuire per circa 5 miliardi di metri cubi all’anno, senza dimenticare l’apporto dell’Angola. Infine, c’è la produzione nazionale che il gruppo sta cercando di aumentare di circa 2 miliardi di metri cubi all’anno.
ASPETTANDO GLI STATI UNITI
Non c’è solo l’Africa nello scacchiere italiano. A rendere più plausibile uno sganciamento dalla Russia, c’è anche la possibilità di importare gas liquido dagli Stati Uniti. Il problema è semmai l’infrastruttura, i rigassificatori, che non hanno molta capacità aggiuntiva. Sono la chiave di volta dell’indipendenza energetica e possono essere realizzati onshore oppure offshore, al largo delle coste marittime. Oggi in Italia sono in funzione tre rigassificatori, che coprono il 20% del fabbisogno annuale di gas. Uno è onshore e si trova a Panigaglia, nella provincia di La Spezia. Gli altri due sono offshore e sono installati a Rovigo e a Livorno.