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La Russia recluta soldati in Etiopia? Le relazioni pericolose fra i due Paesi

La Reuters ha raccolto testimonianze tra chi si trovava in coda davanti all’ambasciata russa di Addis Abeba per reclutarsi come volontario per il Donbas. Propaganda anti occidentale, relazioni con la Russia e crisi economica locale tra le ragioni di queste scelte

A rimpolpare le forze da combattimento russe in Ucraina presto potrebbero arrivare gli etiopi. Sebbene non è chiaro come possa essere organizzato il trasferimento e come possano essere integrati nei reparti russi, uomini di varie età da settimane fanno la coda, con in mano documenti per comprovare la loro istruzione militare, davanti all’ambasciata russa di Addis Abeba.

Sono lì per reclutarsi, spiega la Reuters in un servizio: “Quello che è iniziato come un rivolo di volontari si è gonfiato nel corso delle ultime due settimane”. I reporter dell’agenzia stampa hanno visto diverse centinaia di uomini registrarsi con le guardie di sicurezza etiopi fuori dall’ambasciata. Le guardie hanno registrato i loro nomi e chiesto prova del servizio militare.

Non ci sono testimonianze o indicazioni che qualcuno dall’Etiopia si trovi attualmente a combattere in Ucraina, né è chiaro se e come ci sarà mai. Quello che sta succedendo ad Addis Abeba (come altrove) è un esempio non tanto delle potenziali evoluzioni sul campo di battaglia, piuttosto del mondo che la guerra russa in Ucraina sta contribuendo a costruire.

Se i riverberi arrivano fino in Africa, è grazie a una penetrazione russa nel continente che si è basata negli anni sulla capacità di diffondere una narrazione alternativa a quella occidentale. In questo scontro tra modelli, l’autoritarismo russo ha cercato di attecchire contro il modello democratico che Europa e Stati Uniti diffondono, anche in un Paese il cui premier, Abiy Ahmed, veniva considerato un modello di democraticità.

Eletto nel 2018, Premio Nobel per la Pace nel 2019 per il dialogo con l’Eritrea, Ahmed ha giurato per un secondo mandato di cinque anni nel 2021 in mezzo alla guerra nel Tigray. Il conflitto esploso nel 2020, contro i gruppi ribelli tigrini e altre fazioni anti-governative, ha esposto la violenza di cui Addis Abeba è capace e messo Ahmed sotto ampie critiche dall’Occidente. Differentemente Mosca ha preso sempre le difese del governo etiope, chiedendo alla Comunità internazionale di fare altrettanto.

Il conflitto nel Tigray e l’azione di governo di Ahmed sono intrisi di propaganda, che si muove anche verso critiche all’Occidente (accusato di essere troppo aperto con i nemici tigrini) e conseguentemente ringraziamenti a Russia, Cina e Turchia. Questo porta all’innesco di certe dinamiche come il reclutamento volontario per andare a combattere in Ucraina, che poggiano anche su relazioni tra i due Paesi (e dunque propaganda incrociata) che risalgono all’epoca sovietica. Addis Abeba è tra i pochi Paesi che non hanno votato una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che condanna l’invasione del 24 febbraio in Ucraina.

L’ambasciata russa in Etiopia ha rilasciato un commento sostenendo che quegli etiopi stavano offrendo “solidarietà e sostegno alla Federazione Russa” e negando una campagna di reclutamento. D’altronde farlo poteva rischiare di sembrare una debolezza: se la grande potenza che il tremolante Vladimir Putin vuole rappresentare deve ricorrere a impreparati volontari africani per combattere nel Donbas, l’immagine che esce non è delle migliori. Da considerare che a marzo il Cremlino avrebbe dato il via libera a 16mila volontari dal Medio Oriente (essenzialmente dalla Siria) che sarebbero stati schierati nel Donbas.

Il ministero degli Esteri etiope tiene una posizione molto simile a quella di Mosca e dice che le dichiarazioni dell’ambasciata servono a “confutare i report infondati di reclutamento delle forze armate russe”.

Da giorni, sui social network in Etiopia circola una voce: a chi andrà a combattere in Ucraina verranno pagati 2.000 dollari, e poi verrà data la possibilità di lavorare in Russia dopo la guerra. In un Paese lacerato dal conflitto tigrino, dove l’inflazione annuale si aggira intorno al 30 per cento, e il Pil pro capite è poco più di 800 euro, certe potenziali offerte (non è chiaro quanto veritiere) vengono viste come un’opportunità allettante.

“Sono disposto a sostenere il governo russo e, in cambio, una volta uscito, avrò dei benefici”, ha detto un uomo alla Reuters che lo ha raggiunto fuori dall’ambasciata, dove ha detto di aver presentato la sua domanda. “Vivere in Etiopia sta diventando difficile”, ha commentato un altro che si era ritirato dall’esercito etiope nel 2018: “Quello di cui ho bisogno è vivere in Europa”. “Preferirei essere un cittadino di un altro Paese”, ha aggiunto, spiegando che ciò che accade è anche frutto di un malcontento di fondo.

(Foto: Ufficio di presidenza russo)



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