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Macron, l’Ucraina e la Difesa Ue. Parla Fabbrini

Intervista a Sergio Fabbrini, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. Altro che pandemia, la guerra russa chiede all’Ue una svolta nella Difesa comune. Serve un’autorità sovranazionale, come per il Next Generation Eu. Macron? Elezioni poco europee, ma se vince Le Pen l’Europa è in stallo

Nel dramma, un’occasione. La guerra scatenata dalla Russia in Ucraina è un momento-verità per l’Ue, chiamata a passare dalle parole ai fatti nella costruzione di una Difesa europea. Ne è convinto Sergio Fabbrini, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss, in libreria con “Democrazie sotto stress” (Il Sole 24 Ore).

L’Ue ha superato il test Ucraina?

La guerra in Ucraina ha messo l’Ue sotto uno stress che non ha precedenti. Di fronte alla pandemia ha potuto mobilitare risorse e competenze già presenti nel sistema istituzionale. Ha messo da parte l’azzardo morale. Questa però è una sfida diversa.

Perché?

Dal 1954, quando la Francia ha affossato la Ced, la Difesa è il tallone d’Achille dell’Europa unita. Il nodo della sovranità militare è rimasto irrisolto. Con la Nato ci siamo garantiti la sicurezza, a spese degli Stati Uniti.

L’aggressione russa in Ucraina impone una svolta?

Sì, una svolta cui l’Ue non sembra pronta. La bussola strategica di Josep Borrell è del tutto inadeguata. Un documento che guarda al passato: parla di una forza comune di 5000 soldati mentre alle porte d’Europa infuria una guerra potenzialmente nucleare.

Però la reazione c’è stata. Cinque pacchetti di sanzioni non sono pochi.

Tutt’altro, sul piano economico è stato un successo. Come sul piano politico, dove si è finalmente aperta una discussione critica sulla politica estera degli ultimi vent’anni. Il mea culpa del presidente tedesco Steinmeier è eloquente: pensare di addomesticare Putin con il mercato è stato un errore da cui l’Italia non è esente. Ora servono tre passi per recuperare.

Quali?

Il primo: capire se siamo in grado di fiaccare la Russia fino a imporre l’embargo sul petrolio e il gas. Il blocco del carbone è un segnale politico ma simbolico.

Pace o aria condizionata. L’equazione Draghi sta in piedi?

Una provocazione che però coglie nel segno. La dipendenza energetica dalla Russia è la prova di un’insipienza europea. Per decenni ci siamo illusi che il mondo fosse kantiano. Abbiamo letto la realtà internazionale con la lente della Germania unita. Le cose sono andate diversamente.

Il secondo passo?

I sistemi industriali, tecnologici e di Difesa devono coordinarsi tra loro. Al posto di progetti alternativi in competizione servono campioni industriali e un’autorità sovranazionale che gestisca le risorse europee.

Anche qui si sono fatti passi avanti. L’impegno al 2% del Pil nella Difesa è una decisione storica per la Germania.

Di per sé non dice niente. I 100 miliardi di euro tedeschi servono a poco se si riducono alla duplicazione di apparati esistenti e finiscono per due terzi a spese per il personale. No, abbiamo bisogno di un’autorità europea indipendente, di fare lo stesso salto del Next generation Eu.

Le elezioni francesi di domenica pesano non poco su questa road map. Qual è la vera posta in gioco della sfida Le Pen-Macron?

Non illudiamoci troppo: le elezioni francesi si giocano su valori e interessi francesi. Il programma elettorale di Macron dedica solo una pagina, l’ultima, all’Europa. Su questo piano, Le Pen ha già vinto la sfida culturale. Ma una vittoria della sovranista arresterebbe la compattezza europea, dall’Ucraina alla pandemia. L’asse con Orban rischia di far implodere l’Ue dall’interno.



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