Il gruppo triestino dovrà pensare a una nuova strategia industriale dopo venti anni di era Bono, che avrà al centro un ritorno al core business e uno sguardo più attento al militare. Il nuovo corso di Fincantieri secondo il vice presidente dello Iai, Michele Nones
Un rapporto più collaborativo con Leonardo sul versante militare, un posizionamento europeo complesso (vista la frammentazione della cantieristica navale del Vecchio continente) e una missione più chiara di politica industriale. Sono le sfide che attendono Fincantieri, che dopo venti anni di era Bono ha reso noti i nuovi vertici. Ne abbiamo parlato con il vicepresidente dell’Istituto affari internazionali (Iai) Michele Nones.
Che scenari si aprono adesso per Fincantieri, dopo la fine dell’era Bono?
Più che parlare di scenari che si aprono, secondo me si tratta di scenari che proseguono, anche dopo la decisione del governo di dare un segnale di discontinuità alla gestione di Fincantieri. A mio avviso non ci sono pertanto sfide nuove, ma sfide che devono continuare a essere affrontate. Prima di tutto la sfida più grande sarà quella legata a una più attenta definizione della sua strategia industriale. Mi sembra che soprattutto negli ultimi anni si sia in qualche modo “diluito” il core business di Fincantieri, allargandosi a settori e attività – come ad esempio quelle infrastrutturali – che ritengo abbiano ben poco a che vedere con la mission del gruppo che punta a realizzare unità navali sia civili sia militari. Serve quindi una strategia industriale che rifocalizzi l’attenzione della società nel costruire sistemi navali.
E poi?
C’è poi un secondo aspetto che riguarda soprattutto il settore militare. Per utilizzare e integrare a bordo delle unità navali equipaggiamenti e sistemi che vengono acquisiti sul mercato, bisogna ridefinire un rapporto collaborativo più efficace nei confronti di Leonardo che è l’altro grande gruppo italiano impegnato nella realizzazione di sistemi navali, sia dal punto di vista dei sistemi di combattimento sia dei sistemi radar. Ritengo pertanto che una più stretta collaborazione tra i due gruppi sia assolutamente auspicabile. Tuttavia, questo risultato non è ancora mai stato raggiunto, nonostante molti tentativi poi culminati con l’accordo per la costituzione e gestione della joint venture Orizzonte Sistemi Navali (Osn), controllata da Fincantieri (51%) e Leonardo (49%). La società però non è riuscita a risolvere i problemi di confronto tra i due gruppi, soprattutto nel quadro italiano, lasciando così notevoli strascichi.
Quali sono le strategie di Fincantieri per portare avanti le attività in Europa e in Italia?
Dal punto di vista della strategia industriale c’è tra gli altri il tema dell’internazionalizzazione, ad esempio nel tentativo fallito di creare la famosa Airbus del mare tramite l’accordo con Naval Group. Bisogna inoltre riconsiderare quali possono essere le occasioni di europeizzazione delle attività militari di Fincantieri sia per la parte relativa alle navi di superficie sia per la parte relativa alle unità subacquee. Tenendo conto che ci troviamo purtroppo in una situazione in cui il previsto aumento dei budget della Difesa dei principali Paesi europei, che sono peraltro anche Paesi che dispongono di un’industria navale, di sicuro non favorirà la spinta all’integrazione industriale.
Perché?
Perché avendo una maggiore domanda interna e più commesse dalle proprie Marine è molto probabile che i singoli Stati e le imprese nazionali non saranno in questo modo portati a trovare accordi di integrazione industriale. Eppure questa resta una necessità assoluta perché se uno guarda a un orizzonte più lontano che va al di là di questo decennio, quindi al successivo, è evidente che la frammentazione dell’industria navale europea è un forte punto di debolezza e diventerà evidente nel momento in cui, passata questa ondata di commesse nazionali, bisognerà tornare a guardare con attenzione al mercato delle esportazioni. Un’industria europea che si dovesse ripresentare ancora frammentata e in competizione interna, sarebbe sicuramente sfavorita. Questi credo siano i grandi temi sui quali il nuovo vertice aziendale si dovrà misurare.
Quali sono le strategie di Fincantieri per le attività europee?
Come al solito il grande vantaggio che può venire dall’intervento di un personaggio autorevole come il generale Graziano è che porterà in dote una conoscenza della realtà europea e delle istituzioni europee, ovviamente per la parte che riguarda il settore militare, che sicuramente potrà favorire un ricambio dei contatti, come la ripresa dei vecchi o l’implementazione dei nuovi in sede europea. Graziano, soprattutto nel suo ultimo incarico di presidente del Comitato militare dell’Unione europea è ovviamente un profondo conoscitore di tutte le dinamiche che caratterizzano il mercato europeo e in particolare di quelle che sono in questo momento, soprattutto negli ultimi mesi, le nuove iniziative che sono state messe appunto a livello europeo.
Cosa prevede per il futuro dei due segmenti principali dell’attività di Fincantieri, quello civile e quello militare?
I modelli di riferimento a livello internazionale vedono delle realtà che si sono concentrate solo sul settore militare e dei modelli che vedono invece la presenza dei grandi gruppi, come il caso dei cantieri tedeschi o olandesi. C’è poi il modello inglese che prevede l’integrazione della cantieristica all’interno di un grande gruppo della Difesa. Un modello come quello di Fincantieri dove chi fa navi civili non solo sporadicamente e limitatamente fa attività di costruzione di navi militari, in realtà non c’è nel resto del mondo. La nave militare è un’unità navale completamente diversa dalle navi civili, così come sono diversi il tipo di clientela e il costo delle Intelligence. Si tratta di due mondi diversi che, torno a ripetere, stanno insieme solo perché costruiscono navi. Ma è come pensare che i grandi costruttori di veicoli commerciali, di grandi track, abbiano qualcosa in comune col costruttore di carri armati. Non c’è come in altri settori, ad esempio quello dei velivoli, una comunità “mista” tra comparto civile e militare. Tant’è vero che anche la divisione militare di Fincantieri è localizzata negli storici cantieri di Riva Trigoso e Muggiano, e non vi sono né trasferimenti tecnologici né di competenze né di personale con gli altri cantieri del gruppo che operano nel campo civile. Non si sposta l’operaio che fino al giorno prima si è occupato di realizzare navi da crociera a bordo di un’unità lanciamissili.
Quale modello sceglierà secondo lei il gruppo?
Il modello dipenderà dalle scelte dei manager e ovviamente dall’azionista che è lo Stato italiano, il che per le industrie di questo tipo può essere una grande responsabilità o un vantaggio. Lo Stato però fino a ora si è dimostrato un azionista “disattento” alle esigenze e alle scelte che le imprese dovevano fare, e che non spettavano a loro ma bensì all’azionista. Quindi mi aspetterei che il governo dia un chiaro segnale di politica industriale nell’indicare quali sono le missioni che assegna, sciogliendo ed eliminando tutti i punti di sovrapposizione e di confusione tra le attività. Ma è una responsabilità che è in capo al governo, in capo alle amministrazioni più interessate. Personalmente mi aspetto che nel quadro della nuova direttiva di politica industriale, che il ministro Lorenzo Guerini ha firmato l’anno scorso, anche questo problema trovi una soluzione.