Chi pensa che le elezioni presidenziali francesi siano una replica del voto di cinque anni fa dovrà presto ricredersi. Gilles Gressani, direttore e fondatore della rivista Le Grand Continent, mette in guardia dai facili accostamenti. La sfida tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen si gioca in bilico su un mondo che ha drasticamente cambiato volto.
Le Pen contro Macron, di nuovo. È un dejavu del 2017?
Impossibile. Nel 2017 in Europa il primo punto dell’agenda si chiamava Brexit, oggi è scomparso. Il mondo è cambiato, la Francia anche: prima gli scioperi e i gilet jaunes, poi la pandemia, ora la guerra torna in Europa.
La politica francese è cambiata di pari passo?
Tutt’altro, è rimasto due passi indietro. I partiti tradizionali, come socialisti e républicains, sono ormai implosi. Ma i tre attori sul podio invece sono gli stessi di cinque anni fa e questo parla da sé.
Le Pen però mostra un altro volto. E l’elettorato sembra premiarla.
La vera svolta di Le Pen si è giocata sulla decisione di ritornare – vedremo se per tattica o strategica – nel quadro della costruzione europea, abbandonando l’oltranzismo no-Ue e no-euro. Questa virata la rende oggi votabile da una destra che cinque anni fa non lo avrebbe mai fatto.
Quanto conta l’affluenza per decidere la partita?
È un dato fondamentale. Lo scenario in cui Le Pen può essere eletta ricorda il modo in cui Trump ha vinto nel 2016. come allora per Clinton, Macron può perdere se i francesi pensano che la sua vittoria sarà lineare, non andando a votare per un candidato “imperfetto”. Rischia di facilitare l’astensione degli elettori del fronte repubblicano al secondo turno e di mobilitare l’elettorato di Le Pen e Zemmour.
Melenchon sarà ago della bilancia. A favore di chi?
Secondo i sondaggi metà del suo elettorato si asterrà al secondo turno, l’altra metà si dividerà tra Macron e Le Pen. Il dato interessante mi sembra un altro ed è in casa della destra.
Sarebbe?
Nel 2017 Macron ha vinto contro Le Pen con lo stesso scarto con cui – sondaggi alla mano – vincerebbe oggi contro Zemmour. C’è dunque una tendenza consolidata dell’elettorato francese a mobilitarsi contro il candidato di estrema destra. A cui invece oggi sfugge Le Pen.
Macron ha fatto una non-campagna. Un programma all’insegna della continuità, l’Europa in sottofondo.
Una campagna riuscita in un obiettivo: prendere voti al centrodestra. Oggi tra gli elettori repubblicani Macron ha successo come e più di Fillon. Ma le proposte di riforme neoliberali, ad esempio sulle pensioni, hanno anche allargato il solco con il centrosinistra e il blocco borghese socialdemocratico che lo ha sostenuto nel 2017.
Effetto voluto?
Penso di sì, perché Macron può rivolgersi adesso a quell’elettorato rivendicando quanto fatto nel primo mandato. Senza il presidente uscente sarebbe stato inimmaginabile il Recovery plan, il piano di rilancio post-pandemia, sarebbe forse impossibile parlare di Difesa comune europea con la Germania.
Quanto ha pesato il fattore Ucraina?
Molto. Macron ha tratto vantaggio dall’effet drapeau, l’effetto bandiera, guadagnando 5 punti percentuali in pochi giorni. A destra Zemmour, il più filorusso dei candidati conservatori, ha iniziato a scendere a tutto vantaggio di Le Pen, che invece è risalita riuscendo a fare sponda su Zemmour per neutralizzare i suoi legami materiali e ideologici con il regime di Putin.