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Greta è la migliore amica di Putin. Arditti spiega perché

La tragedia ucraina potrebbe servire per fare piazza pulita di luoghi comuni che poco hanno a che fare con la realtà planetaria, primo fra tutti quello di un volonteroso quanto ingenuo ambientalismo, che accanto a battaglie sacrosante in questi anni ha finito per fare il gioco dei grandi inquinatori del nostro tempo, che sono poi anche i nuovi ricchi del pianeta nonché i nemici irriducibili della democrazia

Il disastro della guerra russa all’Ucraina è sotto gli occhi di tutti e purtroppo ben lontano dal mostrarci il suo peggio, che temo verrà nelle prossime settimane o mesi.

Ciò vale per le perdite di vite umane e per il collasso di molte relazioni internazionali, per gli effetti economici e, persino, per i rapporti tra Chiese: insomma una situazione brutta assai.

In tutto ciò però potrebbero persino esserci ricadute positive, capaci, ad esempio, di portare a compimento progetti europei che giacciono in stato comatoso da tempo, come quello della difesa comune.

Poi c’è la complessa questione degli approvvigionamenti energetici, che è forse il problema dei problemi.

Qui il cambio di rotta è complicato assai, però la tragedia ucraina potrebbe servire per fare piazza pulita di luoghi comuni che poco hanno a che fare con la realtà planetaria, primo fra tutti quello di un volonteroso quanto ingenuo ambientalismo, che accanto a battaglie sacrosante in questi anni ha finito per fare il gioco dei grandi inquinatori del nostro tempo, che sono poi anche i nuovi ricchi del pianeta nonché i nemici irriducibili della democrazia.

Proviamo a dirla in modo volutamente sbrigativo (e quindi approssimativo ed anche un po’ provocatorio): Greta è la migliore amica di Putin.

Lo è per quattro ordini di motivi che proviamo ad elencare, la cui forza di condizionamento è difficilmente riducibile a marginale.

Punto primo la furibonda opposizione (più ideologica che tecnica) ad ogni forma di estrazione di gas e petrolio in Europa (ed in Italia in particolare) ha finito per ottenere due effetti devastanti ed innegabili, di cui peraltro pagheremo il prezzo per i decenni a venire. C’è un primo effetto evidente cioè quello di avere sommerso di miliardi di euro e dollari tutti (o quasi) i dittatori del pianeta (russi, arabi, africani, sudamericani, iraniani) fornendo loro enormi risorse finanziare che sono state prontamente impiegate per soffocare ogni forma di articolazione democratica. E c’è poi un secondo effetto legato alle estrazioni, che certamente in giro per il mondo hanno seguito criteri economici più che ambientali, finendo quindi per fare lo stesso del male al pianeta ma semplicemente spostando il luogo del danno.

Al secondo posto c’è la diffusione di una spesso effimera e velleitaria cultura del comportamento virtuoso, che in Italia ha generato mostri come quello della gestione dei rifiuti a Roma. Abbiamo cioè spacciato per praticabile facilmente una raccolta differenziata efficiente (il sindaco Raggi aveva annunciato di volerla portare al 70 %) come motivo sufficiente per evitare di costruire impianti, salvo poi finire per pagare (a carico del contribuente) per portare i rifiuti fuori provincia. Bene dunque la decisione del sindaco Gualtieri di costruire un termovalorizzatore, ma sarebbe interessante calcolare quanto è costato non decidere per un paio di decenni almeno, sia sotto il profilo ambientale che economico.

Al terzo posto c’è l’ideologia perversa della “decrescita felice”, che ha ottenuto il deprecabile effetto di allontanare molte produzioni dall’Europa rendendoci dipendenti in molti settori dalle tecnologie cinesi (si pensi alla forsennata corsa verso l’auto elettrica), con un risultato già pericolosissimo oggi ma potenziale mortale domani.

Infine c’è un danno incalcolabile sotto il profilo della conoscenza e della tecnologia, di cui la vicenda del nucleare è solido paradigma. Abbiamo cioè rinunciato (per pura convinzione ideologica) ad uno strumento ad alto contenuto di “sapere” in grado di contribuire ad una indipendenza energetica che mai come in questo momento appare essenziale in termini di sicurezza nazionale e di vantaggio economico, finendo così per dipendere dal gas russo o algerino: un capolavoro al contrario, un monumento all’autolesionismo che si spiega in soli due modi: idiozia o malafede (propendo per la seconda).

Sia chiaro: nessuno dice che la strada delle fonti rinnovabili debba essere abbandonata o percorsa in modo timido. Anzi, proprio in quelle direzioni ci dobbiamo muovere con ogni strumento d’investimento. Ma è semplicemente demenziale spacciare per buono oggi quello che può efficacemente servire domani (nella migliore delle ipotesi).

Siamo in tempo per cambiare rotta? Forse sì, a patto di correre. Ed a patto di comprendere una volta per tutte che Greta (consapevole o no poco importa) è la migliore amica di Putin.

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