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Huawei, fuga da Mosca. I piani cinesi e le sanzioni Usa

Secondo indiscrezioni il colosso tech cinese Huawei sta pensando di abbandonare una parte del business in Russia finché la guerra in Ucraina dovesse continuare. Con il ritiro occidentale il mercato di Mosca fa gola alle aziende di Pechino. Ma le sanzioni Usa fanno paura

La guerra russa in Ucraina costa cara anche a Huawei. Tra le tante aziende cinesi finite nel vortice della crisi tra Russia e Occidente il colosso di Shenzen, tra i primi operatori di telefonia mobile al mondo, vive ora un’autentica crisi.

Secondo Forbes Russia l’azienda tech cinese starebbe valutando di sospendere le operazioni in Russia e dislocare una parte di attività e dipendenti. Crucci confermati da fonti vicine a Huawei a Formiche.net: continuare a fare affari nel mercato tech russo mentre prosegue la pioggia di bombe in Ucraina rischia di trasformarsi in un boomerang, non solo d’immagine.

Un boomerang che Huawei, fondata dall’ex ufficiale dell’Esercito cinese Ren Zhengfei, ha già vissuto sulla sua pelle. Da anni infatti è al centro di una controversia internazionale. Gli Stati Uniti, prima con Barack Obama, poi con Donald Trump e ora con Joe Biden alla Casa Bianca hanno accusato il colosso cinese di un rapporto simbiotico con il governo di Pechino e di installare backdoor nella rete 5G a fini di spionaggio, chiedendo ad alleati e partner di escludere i suoi prodotti dalle strutture sensibili per la sicurezza nazionale.

Oggi Huawei vuole evitare il bis. Con la minaccia delle sanzioni secondarie americane che incombe, continuare a operare in Russia come se nulla fosse può consegnare un conto salato all’azienda, già costretta a rivedere piani e fatturato per l’isolamento americano.

Di qui i ripensamenti delle ultime settimane: secondo il giornale russo Izvestia già da fine marzo Huawei ha sospeso i nuovi contratti con gli operatori russi e ha chiesto di lavorare in modalità smart a una parte dei suoi dipendenti a Mosca. A confermare le remore due settimane fa era stato lo stesso vicepresidente della compagnia, Guo Ping, parlando di una “attenta valutazione” dei rischi.

Sulla carta, la guerra in Ucraina potrebbe essere una manna dal cielo per il fiore all’occhiello dell’industria tech cinese. I suoi principali competitor europei, la finlandese Nokia e la svedese Ericsson, hanno già annunciato di volersi tirare fuori dal mercato russo finché l’invasione continuerà. Aprendo così una vera autostrada al business cinese: secondo la società di analisi Dell’Oro, le due aziende europee controllano rispettivamente il 60% e il 40% del mercato di equipaggiamento wireless in Russia, un quasi monopolio. Di più: nelle prime due settimane di marzo, nel pieno dell’invasione, le vendite di smartphone Huawei in Russia sono triplicate, spiega il Financial Times, complice il ritiro dalla Russia del competitor di settore numero uno al mondo, la Apple.

Tutto perfetto, o quasi. Sì perché riempire i vuoti lasciati dalle multinazionali occidentali non è facile come sembra. Su Huawei pende ancora un provvedimento, calato da Trump tre anni fa, che le impedisce di utilizzare componentistica statunitense per assemblare qualsiasi suo prodotto. Una ghigliottina che ha costretto Huawei a ridimensionare drasticamente le sue ambizioni in mercati ampiamente dipendenti dalla tecnologia statunitense, dai microchip alle altre branche dell’elettronica.

Il pressing da Washington non è diminuito, anzi. Dal Dipartimento del Tesoro e del Commercio dell’amministrazione Biden è partito nelle scorse settimane più di un friendly reminder alle aziende cinesi tentate da un tuffo nel mercato russo. A inizio aprile le sanzioni del Tesoro guidato da Janet Yellen contro 21 aziende nel campo dei microchip, una delle quali a Singapore, sono suonate come un avvertimento a Pechino. Dove non a caso cresce il coro della diplomazia contro le sanzioni secondarie americane, pensate per costringere la Cina a una scelta di campo che non sembra intenzionata a fare.


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