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Così l’IA cambia la guerra. L’era della quantum diplomacy

realtà cini

Le nuove tecnologie stanno già rivoluzionando il campo di battaglia, e l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, del quantum computing e dei big data influenzerà sempre più i conflitti del futuro. Per riflettere su questi temi Enrico Savio, Andrea Gilli, Francesco Marradi e Daniela Pistoia sono intervenuti all’evento “Winning the artificial intelligence era” della Fondazione Leonardo insieme al Centro studi americani e al Maeci

Le tecnologie disruptive esistono già e nel prossimo futuro cambieranno radicalmente sia le nostre società sia la natura dei conflitti. Per questo è necessario riflettere già oggi sulle implicazioni che gli usi dell’intelligenza artificiale, del quantum computing e dei big data avranno sui campi di battaglia di domani. Il tema è stato al centro dell’iniziativa “Winning the artificial intelligence era. Quantum diplomacy and the power of automatization”, organizzata dalla Fondazione Leonardo – Civiltà delle macchine, guidata da Luciano Violante, insieme al Centro studi americani e al ministero degli Affari esteri. Ad affrontare le ricadute in campo militare delle nuove tecnologie sono stati Enrico Savio, chief strategy and market officer di Leonardo, Andrea Gilli, ricercatore senior al Nato defense college, Daniela Pistoia, corporate chief scientist di Elettronica, e il colonnello Francesco Marradi, program officer dell’Eurofighter.

Deterrenza attraverso la tecnologia

Per Enrico Savio: “L’evoluzione tecnologica non si ferma, e dobbiamo essere consapevoli che una delle principali spinte a questo progresso arriva dalla ricerca della supremazia tra diversi attori sulla scena internazionale”. Il confronto globale tra Stati è, dunque, un potente driver dell’innovazione, attraverso la quale gli Stati cercano di raggiungere i propri obiettivi, anche a discapito degli altri. L’elemento discriminante è l’uso che si intende fare di questa tecnologia. “Noi viviamo in sistemi che non impongono, ma propongono, la propria identità – ha detto Savio – e il problema diventa: come comportarsi di fronte a un attore che non rispetta le regole?”. Il riferimento è naturalmente al conflitto in Ucraina, dove già si è potuto assistere a un’ibridazione di forme tradizionali di combattimento con sistemi disruptive come i missili ipersonici o la cyber warfare. “Di fronte a queste sfide, una valida, credibile ed efficace deterrenza arriva dal mantenimento della superiorità tecnologica”.

I rischi del Deep learning

In particolare, l’intelligenza artificiale è uno degli elementi che più di altri è in grado di trasformare radicalmente l’ambiente operativo del futuro. Sistemi di IA sempre più capaci e performanti, infatti, “aumentano esponenzialmente la precisione delle munizioni, rimuovono la cosiddetta “nebbia di guerra” e potrebbero essere in grado di indebolire le capacità di secondo colpo nucleari, pilastro fondante della deterrenza atomica”, ha spiegato Andrea Gilli. A preoccupare è soprattutto lo sviluppo della capacità di Deep learning della IA, in grado di analizzare quantità enormi di dati per estrarre determinati pattern. Se però questi dati venissero manipolati dall’avversario, il rischio è che le IA facciano quello che vuole il nemico. Per poter affrontare queste sfide, sottolinea Gilli, è necessario che “le due sponde dell’Atlantico sviluppino una standardizzazione e una interoperabilità” in grado di sfruttare le potenzialità offerte dall’IA e contemporaneamente tutelarsi da possibili intrusioni avversarie.

L’elemento umano della IA

“Lo stato dell’arte dell’intelligenza artificiale è avanzatissimo, e continua a crescere, e alla fine riusciremo a istruire l’IA in modo che riesca a generare da sola i propri algoritmi”. A spiegarlo la dottoressa Daniela Pistoia, che ha anche registrato come, per funzionare, l’IA abbia bisogno di sfruttare i dati prodotti da tutte le fonti disponibili, esseri umani compresi. “La IA è la prima tecnologia che impatta direttamente sull’utilizzatore finale, che dev’essere coinvolto fin dalla fase di progettazione”. Infatti, senza i dati forniti dallo stesso final user, che si tratti di una componente civile o militare, “questi prodotti semplicemente non funzionerebbero”. Questo elemento è quello che finora ha limitato, in parte, l’adozione delle tecnologie di intelligenza artificiale nel settore della Difesa, data la complessità e le variabili che caratterizzano l’ambiente operativo delle Forze armate.

Il caccia di sesta generazione

Uno dei primi ambiti in campo militare che vedrà l’impiego dell’intelligenza artificiale saranno i velivoli da combattimento di sesta generazione, che per le nostre forze aeree significa il programma Tempest, portato avanti insieme a Regno Unito e Svezia. “Il passaggio alla sesta generazione sarà un vero e proprio salto di qualità tecnologico”, ha raccontato il colonnello Marradi. Il Tempest (così come il suo corrispettivo franco-tedesco Fcas) sarà infatti un sistema di sistemi, dove accanto alla piattaforma principale, provvista della componente umana, ci saranno una serie di altre componenti autonome unmanned, guidate da sistemi avanzati di IA. L’obiettivo, spiega ancora Marradi, è “avvolgere l’avversario in una rete di sensori ed effettori, cioè sistemi d’arma cinetici o disabilitanti, che lo renda incapace di agire, e quindi inoffensivo”.


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