Lo scrittore ricorda la fotoreporter scomparsa: “Ha raccontato la miseria dell’infanzia palermitana. Ha ritratto tutte le mostruose e straordinarie blatte che la città poteva offrire, una città che l’ha sempre richiamata a sé. Ha fotografato l’ecatombe mafiosa e il delitto Mattarella. Ci si trovò per caso, una mattina in cui eravamo insieme”
Dall’obiettivo della sua macchina fotografica ha immortalato l’ecatombe mafiosa che insanguinò Palermo tra gli anni ’70 e i ’90. Lei diceva di essere solo “una persona che fotografa”. In realtà, è stata una “Santa Giovanna dei Macelli”. Letizia Battaglia, scomparsa ieri a Palermo a 87 anni, nel ricordo dell’amico fraterno Fulvio Abbate, scrittore e giornalista, assume i connotati dell’opera teatrale di Brecht.
“Letizia è stata una signora della borghesia palermitana che si è ribellata a quel ruolo che la sua condizione sociale le aveva imposto. E ha fatto dono a se stessa della libertà – ricorda lo scrittore. Ha raggiunto Milano, e ha iniziato a collaborare con i giornali. Ha comprato una macchinetta fotografica e ha iniziato quella che sarebbe diventata più di una professione per lei”. Ma il richiamo della terra natia l’ha riportata a solcare le strade di una Palermo lordata di piombo e sangue.
“Nel 1975, quando la conobbi, era tornata a Palermo – prosegue Abbate – e ha avuto come piattaforma straordinaria il giornale L’Ora. Un quotidiano di battaglia, che le ha dato l’opportunità di immortalare le guerre di mafia, dal ’79 fino alle stragi del ’92”. Alle volte, ricorda lo scritto che in quegli anni era assieme a Battaglia nella redazione del rotocalco palermitano, “non bastavano le pagine del giornale per farci stare tutti i morti che c’erano”.
Ma la vita professionale di Letizia Battaglia non fu solo costellata dall’orrore mafioso. “Ha raccontato la miseria dell’infanzia nei catoi (i monolocali palermitani con affaccio sulla strada, ndr). Ha ritratto tutte le mostruose e straordinarie blatte che Palermo poteva offrire”. Insomma, Abbate è convinto che la finalità del lavoro di Battaglia fosse “affermare il bello e la giustizia sociale”. Un impegno che ha tradotto anche in politica, con Leoluca Orlando. “È stata una pasionaria. Una di quelle persone che ha creduto nella possibilità di cambiare la vita”.
Battaglia ha anche tentato di lasciarsi Palermo alle spalle. Peregrinazioni a Parigi, nel nord Italia. Eppure c’era sempre qualcosa che in un modo o in un altro la costringeva giù, nella sua isola. Perché in fondo “Letizia ha sempre pensato che Palermo fosse il suo posto”. Ed è per questo che il suo impegno e il suo lavoro rappresentano “una parte cospicua della memoria civile di Palermo”.
Probabilmente lo scatto più celebre di Battaglia, quello che rimane impresso nella memoria collettiva, è legato all’omicidio Mattarella. L’allora presidente della Regione Piersanti, crivellato di colpi da Cosa Nostra. Epifania, 1980. Faceva freddo, e poco prima di quell’orribile attentato Battaglia e Abbate erano assieme. “Era un giorno di festa – ricorda lo scrittore – . Io e Letizia eravamo assieme al bar ‘La Cuba’ di Villa Sperlinga. Dovevamo stare lì tutti assieme a mangiare, ma poi la figlia di Letizia si sentì poco bene e lei fu costretta a rincasare. Nel percorso verso casa, percorrendo via Libertà, si accorse che era accaduto qualcosa. Ed ecco, il delitto Mattarella, immortalato per caso”.