Al di là del risultato elettorale che riserva poche sorprese, il voto francese è il primo di una lunga serie di ostacoli sulla via di Macron. Dall’asse traballante con Berlino alla guerra russa e il gas, perché monsieur le President non può dormire sonni tranquilli. L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta
Il primo turno delle elezioni francesi è andato tutto sommato come ci si aspettava: il primo posto di Emmanuel Macron non era in discussione, e peraltro molto raramente in anni recenti un candidato si era imposto in maniera netta sugli altri. Occhi puntati sul secondo round che si svolgerà tra due settimane, e che potrebbe vedere invece una vittoria più risicata rispetto a quella ottenuta cinque anni fa sbaragliando la solita Marine Le Pen.
È davvero difficile che quest’ultima possa vincere, a maggior ragione dopo la dichiarazione di Mélenchon sul fatto che la Sinistra radicale non concederà “nessun voto” alla destra nazionalista del Rassemblement National (nonostante alcune posizioni simili) ma senza dubbio la sua svolta verso il centro per apparire più rassicurante e moderata (e anche per non farsi “fagocitare” da Zemmour ed erodere consensi a Pécresse) renderà il percorso verso la conferma all’Eliseo più difficile per il presidente in carica.
La vera domanda però non è relativa all’esito della competizione elettorale (che, come già detto, appare piuttosto scontato) ma al ruolo che la Francia potrebbe adottare nei prossimi mesi e anni con la riconferma di Macron. Diciamo che le elezioni non si sarebbero potute svolgere in un momento più difficile a livello internazionale, con l’Europa chiamata ad assumersi maggiori responsabilità e a decidere – forse una volta per tutte – cosa vuole diventare “da grande”. Sulla scorta del semestre di Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, Parigi può contribuire a spingere l’Ue a rafforzare il proprio ruolo di attore politico e non solo economico sulla scena globale.
Nel breve periodo, si tratta di decidere se adottare una posizione più rigida nei confronti della Russia: è sulle eventuali sanzioni all’energia che si misurerà quanto – e fino a che punto – la ritrovata coesione europea rivela la volontà effettiva di mettere Mosca all’angolo o si tratta invece di un “fuoco di paglia”.
La Francia, forte anche della sua minore dipendenza dalle forniture di gas dalla Russia rispetto a Germania e Italia (che sono comprensibilmente più prudenti su questo fronte), è decisamente più in favore ad un embargo su petrolio e gas. Se si arrivasse a una decisione simile, che comporterebbe comunque sacrifici per l’economia e i cittadini europei, sarebbe una vittoria politica per Macron che sarebbe riuscito a imporre la sua visione.
Non vanno però sottovalutati eventuali strascichi di questa situazione, dato che il tradizionale asse franco-tedesco potrebbe indebolirsi ulteriormente dopo che Merkel ha lasciato la politica e tra Parigi e Berlino è mancata una piena convergenza sulla severità delle sanzioni da comminare contro la Russia.
Nel medio-lungo periodo, c’è invece una Difesa europea da costruire. Il progetto attuale della cosiddetta “Bussola Strategica” non è che un primissimo passo in questa direzione, e la decisione confermata pochi giorni fa di istituire una forza comune di risposta di appena 5000 unità non è nulla rispetto alle risorse che altri possono schierare (basti pensare che le intere forze armate russe contano fino a 900mila soldati).
Anche per ragioni di natura industriale ed economica, sarebbe nell’interesse della Francia velocizzare progetti comuni in quest’ambito, e questa potrebbe essere una priorità di un eventuale secondo mandato di Macron, che nel 2019 aveva “punzecchiato” la Nato definendola “clinicamente morta”.
La Francia, del resto, con la sua force de frappe è rimasta l’unica potenza nucleare all’interno della UE e può dunque far valere la sua superiorità militare rispetto agli altri Paesi; inoltre, Parigi sta anche puntando forte sul nucleare “4.0” per scopi civili, e ha dunque la chiara intenzione di mantenersi al vertice nello sfruttamento di questa tecnologia, sia per mantenere un rilievo geopolitico che per accelerare la transizione energetica.
Infine, qualche considerazione sui rapporti con l’Italia. Negli ultimi anni le relazioni con i cugini transalpini non sono state idilliache (pensiamo ad esempio al sostegno fornito nel 2018 al movimento dei gilets jaunes), ma recentemente è tornata una comunanza di vedute favorita anche dall’approccio “anti-frugale” a livello economico.
Una Francia più forte in Europa dovrebbe essere vista dal nostro Paese non come una minaccia, ma come un’opportunità per rafforzare il processo di integrazione, magari puntando su un disegno “a cerchi concentrici” che consenta – in maniera più flessibile – ai Paesi interessati di fare passi ulteriori senza dover forzatamente cercare l’unanimità tra tutti i membri.
Inoltre, un rafforzamento della politica estera europea sarebbe funzionale anche alle nostre ambizioni, in un’ottica di divisioni di responsabilità che potrebbe ad esempio garantirci un ruolo di primo piano in una regione per noi cruciale come quella del Mediterraneo orientale e dei Balcani.