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L’Africa non salverà l’Italia, una politica energetica sì. La versione di Maffè

Intervista all’economista della Bocconi: siamo costretti a mendicare gas ai Paesi africani, quando avremmo dovuto dotarci di una vera politica per l’energia a base di esplorazioni, tecnologia e persino nucleare. Se l’Italia vuole sganciarsi dalla Russia impari da Francia e Gran Bretagna e lasci stare la Germania

Facile correre in Africa a cercare gas quando la bolletta diventa insostenibile per aziende e imprese e ci si scopre troppo dipendenti da un Paese con cui si è ai ferri corti. Sarebbe stato molto meglio agire per tempo e gettare le basi di una solida politica energetica. Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista della Bocconi, la mette giù dura quando gli si chiede un parere sulla corsa italiana al gas africano, cominciata in Algeria e terminata in Congo, aspettando possibili nuovi accordi con il Mozambico.

Il governo si è precipitato in Africa con l’obiettivo di assicurarsi il gas necessario a sostituire quello comprato da Mosca. Che idea si è fatto?

Mi pare una mossa tardiva e insufficiente, anche se ne necessaria. Abbiamo costruito una dipendenza strutturale con un fornitore arrogante come la Russia. Una scelta che in tutto e per tutto è andata contro l’interesse nazionale, grazie alle scelte folli di chi ci ha governato. In più, se mi permette, abbiamo commesso un errore strategico.

Quale sarebbe questo errore?

Il fatto di esserci messi alla ricerca di nuovo e alternativo gas nelle peggiori condizioni di mercato possibili. Questo non aiuta, oggi il gas costa e costa dappertutto, ovunque vai lo paghi e tanto. La verità è che serviva una logica di tetto al gas a livello europeo, sia sul petrolio sia sul gas. Sul gas i prezzi sono impazziti, lo stiamo vedendo tutti i giorni.

E cercare gas in Africa, in Angola, Congo, Algeria, può essere un viatico verso l’emancipazione da Mosca?

Siamo costretti ha farlo, a mendicare gas, questa è la parola adatta. Il medesimo gas che però arriverà poco e tardi, senza considerare che fino a poco tempo fa non avevamo nemmeno un rigassificatore per colpa di una politica energetica latitante, anzi non pervenuta in questi anni.

Parla di quella politica per l’energia spesso invocata ma, forse, realizzata solo in parte?

Esattamente. Però se mi consente prendiamocela con chi ci ha governato in questi 20 anni. Dove stanno le esplorazioni, le trivelle, l’efficienza energetica, i rigassificatori e persino l’atomo? La verità è che è mancato tutto e ora siamo costretti a fare la questua. Dovevamo attrezzarci da soli non solo cambiare fornitore, pensando che questo risolvesse i problemi.

A voler cercare degli esempi altrove, chi potremmo prendere a modello?

La Francia, l’Inghilterra, che hanno investito in energia e anche sul nucleare. A 30 anni da Chernobyl ancora siamo prigionieri della paura, mentre esiste l’atomo sicuro che poi è anche l’energia green per eccellenza. Sicuramente non dobbiamo guardare alla Germania la cui strategia energetica si è rivelata fin qui fallimentare.

Guardando all’Europa, cosa è mancato per una vera autonomia energetica?

Una strategia comune e vincente, figlia di un grande dibattito. Abbiamo parlato solo di rinnovabili le quali però non bastano a creare autonomia energetica. Guardiamo alla Francia che di rinnovabili ne ha, eppure il 70% dell’energia elettrica viene dal nucleare. Bruxelles ha solo pensato a garantire l’approvvigionamento, senza pensare all’innovazione tecnologica di cui sarebbe potuta essere proprietaria.

E lei vede le condizioni per un vero dibattito? Anche a livello nazionale?

Se non ora quando, scusi? Pensiamo di mollare la Russia racimolando qualche miliardo di metri cubi di gas. La verità è che dobbiamo smetterla una volta per tutte con l’essere consumatori e diventare produttori di energia.

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