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Dopo la mascherina, nella fragilità è il tempo del sorriso

Siamo adeguati a vivere questa dimensione, dopo la mascherina e le armi, o prevarranno ancora ambiguità e superficialità, egoismo e narcisismo, cinismo e rancore? Sono il passato da dimenticare e superare. Siamo pronti a lasciarli alle spalle e, fiduciosi, ripartire con un nuovo sentire?

Primo maggio. Nuove misure per un ritorno alla normalità, in una linea di prudenza per una battaglia al virus non ancora finita. Green pass non più richiesto, se non per i viaggi all’estero e per accedere a ospedali e Rsa. Mascherina obbligatoria, fino al 15 giugno, solo in alcuni luoghi al chiuso. Dai trasporti a cinema e teatro, strutture sanitarie e scuola, locali di intrattenimento e competizioni sportive, mentre negli uffici e nelle situazioni a rischio di contagio è “fortemente raccomandata”.

Le città si rianimano e ritornano i turisti nel nostro Paese. Ma dilagano nuove incertezze sulle imprese e sulla quotidianità delle famiglie, con l’inflazione in aumento e gli effetti finanziari ed economici della vicina guerra russo-ucraina.

Paura e ansia del futuro e una socialità ancora ridotta al minimo affievoliscono desideri e sogni personali e ognuno racconta la propria stanchezza e i propri timori.

Tolta la maschera, una difficile prova è, dunque, quella di mostrare un bel sorriso e manifestare una felicità che, secondo le aspettative, potrebbe essere finalmente raggiunta. Pesano contraddizioni e limiti, tradimenti e inganni, aspettative e delusioni, rancori e arroganza, messi a fuoco negli anni sospesi. E ora, nella vicinanza fisica, in parte fiaccati nella mente e nel corpo, e con la rarefazione delle illusioni, quale miracoloso rimedio per un mondo che sembra non trovare neppure un comune linguaggio per ripartire?

Pandemia e guerra sono il crocevia obbligato di un’umanità smarrita.

L’angoscia individuale e collettiva generata prima dall’emergenza sanitaria, con la sensazione di non avere più futuro e, poi, l’ansia di perdere la pace nel mondo, hanno travolto non solo certezze ma anche false illusioni.

In un contesto complesso e precario in cui persino la scienza, la politica e la diplomazia appaiono disarmate e impotenti, il cambiamento individuale e nuovi linguaggi del sentire possono essere, forse, il punto di forza da cui ripartire. Ma, confusi e sgomenti, siamo in grado di accettare ciò che siamo e ciò che potremmo essere per riconquistare energia e entusiasmi?

E, mi chiedo, quale scrittura e quale parola siano adeguate per credere in un orizzonte possibile.

Scrivere richiede coraggio. Oggi di più. La scrittura continua a storicizzare una drammatica condizione di vita e, al tempo stesso, cerca di interpretarla e decifrarla. Prova a offrire conforto per un domani migliore da immaginare.

Nell’epoca delle contrapposizioni violente dei social, le parole hanno maggior peso. Sono identità, coscienza, solidarietà. Trasformano gli eventi in un linguaggio comune che descrive la fragilità umana come radice della vita.

Non esistono sentimenti “perfetti” e ogni sentimento, ogni emozione, sono unici e irripetibili. Fragili. La fragilità è, ora più che mai, una chiave di apertura. Una lente d’ingrandimento sul mondo. Una condizione di sensibilità. Non un’ombra ma anzi una luce abbagliante per comprendere l’attuale realtà e ristabilire priorità.

In questa difficile situazione, il calore del dialogo significa anche trovare le parole giuste nel silenzio. Ha rotto gli argini il muto messaggio di amore e di pace di Papa Francesco, più eloquente di ogni parola, durante la via Crucis al Colosseo, come quello assordante della solitudine dell’umanità rappresentata dal pontefice a Piazza San Pietro per l’indulgenza plenaria, dal colonnato del Bernini, durante i tempi bui della pandemia.

Le parole più belle si intrecciano al silenzio che ascolta il cuore. Ognuno legge, in sé, il proprio “libro” sul sentire. Le parole possono essere fredde e crudeli, inopportune e inadeguate ma se partono dal cuore dileguano ombre e sofferenze e hanno significati inattesi.

Nel frastuono di parole incolori, nell’incapacità di poter esprimere tutto attraverso le parole, il silenzio interiore è, così, nutrimento della mente e, insieme, del sentire. Allontana ipocrisie e sovrastrutture, indifferenza e solitudine. Senza maschere.

La vera comunicazione è alimentata, oggi più che mai, dalla fragilità. Non solo via di fuga e rifugio per ritrovarsi ma dimensione di coraggio, soprattutto verso se stessi. Per essere migliori.

Le donne hanno la capacità di guardare dentro le proprie fragilità e la propria imperfezione e in quella degli altri. La accolgono e la accettano perché vanno sempre incontro alla vita. Fanno della propria fragilità un punto di forza per agire e interagire, cogliendo nello sguardo altrui richieste di comprensione e di amore. Talvolta dimenticando se stesse.

In una società tutta da reinventare, oggi ci si interroga sul mondo visto dalle donne. Sulla forza, sui valori e sui sentimenti che animano, da sempre, le donne e che hanno radici nella passione e nella tenerezza, nell’accoglienza e nella cura, nella pazienza e nella dedizione. Valori non “di genere” ma espressione di un profondo sentire che può accomunare tutti, disegnando un nuovo arcobaleno di speranza.

Non sono sentimenti astratti. Le donne lo hanno dimostrato nella pandemia e nella guerra con la capacità di dare energia e speranza. Sempre con amore.

Sono le “armi” non convenzionali delle donne per “trovare nuove parole e inventare nuovi metodi”, come ricordava già negli anni trenta il pensiero pacifista di Virginia Woolf ne “Le tre ghinee”.

Il senso del futuro al quale guardiamo con ansia ha riconosciuto, nelle ferite vissute, la forza dei messaggi del cuore. Nella fragilità, collettiva e individuale, si è rivelato il messaggio straordinario del sentire dal quale ripartire più forti. Riguarda tutti, non solo le donne.

L’interrogativo è: siamo adeguati a vivere questa dimensione, dopo la mascherina e le armi, o prevarranno ancora ambiguità e superficialità, egoismo e narcisismo, cinismo e rancore? Sono il passato da dimenticare e superare. Siamo pronti a lasciarli alle spalle e, fiduciosi, ripartire con un nuovo sentire?

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