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Dal dibattito sull’Ucraina emerge il nuovo nichilismo

La dittatura degli opposti estremismi che sta conquistando in nome dell’audience gran parte del nostro confronto può aiutare un meccanismo nichilista occidentale. Anche qui la globalizzazione ha prodotto molti problemi nei confronti dei quali si è percepita l’indifferenza di molti. Il mondo, l’Onu, i nostri leader, non hanno strumenti né voglia di affrontare i nostri problemi. La riflessione di Riccardo Cristiano

La comunicazione rischia di travolgerci. Sta accadendo infatti che, come al tempo del Covid, anche la guerra sia divenuta l’argomento monopolistico del nostro dibattito pubblico. In questo dibattito non servono i fatti, ma le opinioni. Le opinioni però devono fare audience, o produrre like, incrementare l’ascolto di quello che dico o trasmetto. Dunque bisogna opporre punti di vista diversi ma sempre più radicali, sempre più estremi, sempre più “forti”. In questo modo si può dire di offrire una comunicazione pluralista, mentre si produce una sorta di dittatura degli opposti estremismi. Così procedendo potrà sembrare che l’ostilità per un punto di vista radicalmente diverso dal nostro ci radicalizzi, obbligandoci ad avvicinarci ad un punto di vista più vicino alla nostra sensibilità ma più radicale del nostro. Questo meccanismo non è pluralista, anzi, sta creando comune  punto di vista: quello del nichilista occidentale.

Il nichilismo origina in una cultura quando non si crede più in nulla, ma si rimane in quell’alveo culturale. Faccio un esempio: poco notato, in molti Paesi arabi negli anni trascorsi è emerso il nichilismo islamico. Esausti dall’indifferenza del mondo, dell’Onu, dell’Occidente, dell’Islam ufficiale, dei leader arabi verso i loro problemi reali, molti arabi di origine musulmana sono diventati nichilisti. Non credono più nel mondo, nell’Onu, nell’Occidente, nell’Islam ufficiale, nei leader arabi, che sono tutti indifferenti ai loro problemi. Costoro provengono dal mondo islamico, ma sono nichilisti, hanno sete di violenza, e possono esprimerla anche accettando di raccogliere una bandiera nera, magari quella dell’Isis, pur di dare alla loro rabbia una eco più forte, sperare che diventi un urlo globalmente udibile. Non serve essere d’accordo con l’ideologia dei terroristi, l’importante è usare ciò che si trova per sperare che un meccanismo diventi amplificatore del bisogno di sfogare la propria rabbia.

La dittatura degli opposti estremismi che sta conquistando in nome dell’audience gran parte del nostro confronto può aiutare un meccanismo nichilista occidentale. Anche qui la globalizzazione ha prodotto molti problemi nei confronti dei quali si è percepita l’indifferenza di molti. Il mondo, l’Onu, i nostri leader, non hanno strumenti né voglia di affrontare i nostri problemi. In questo occidente secolarizzato ovviamente la Chiesa, i suoi leader, pesano di meno, ma la rabbia è la stessa. La libertà ci ha stancato? Sì, ci ha stancato perché davanti alla delocalizzazione, alla disoccupazione, alla mancanza di prospettive, all’estate a dicembre, non sappiamo che farcene della libertà, che forse consideriamo scontata e quindi inutile. Per noi la libertà è un diritto acquisito, non un dovere, il dovere di assicurarla agli altri.

Ecco che una guerra primordiale, feroce, raccontata in termini di bene in lotta col male, ci aiuta nella corsa verso il nichilismo: il mondo è spietato, l’Onu è una baracca senza senso, l’America l’impero del male che ci ha rinchiuso in una bolla ingovernabile, l’Europa un meccanismo burocratico che schiaccia le identità. Non c’è più nulla in cui credere. Bisogna sfogarla però la rabbia, la violenza. E le bandiere disponibili possono andare tutte bene. Anche quella di Putin, l’oligarca nemico delle oligarchie; perché no? Qualche osservatore di questa realtà potrà pensare di sfruttarla cavalcando il nazionalismo, una sorta di mitico ritorno alla nostra autosufficienza, indipendenza e cioè possibilità di risolvere da soli i nostri problemi. Come se uno potesse disfare il mondo da solo. A mio avviso non funzionerà. E non funzionerà perché  questo stesso meccanismo li potrebbe travolgere. Se Nenni diceva che c’è sempre uno più puro che ti epura, oggi potremmo dire che c’è sempre uno più estremista che ti scavalca. E più i punti di vista si radicalizzano più dimostrano di essere uguali. La Russia è l’impero del male! No, l’America è l’impero del male! Loro sono animali! No, l’accusa è un’invenzione animalesca!

Queste apparenti opposizioni convergono nel dirci che non c’è più nulla in cui credere, la verità è un’invenzione di un mondo corrotto e nemico contro il quale dobbiamo cavalcare qualsiasi tigre a nostra portata per sfogare la nostra rabbia repressa e vitale. Questa rabbia ovviamente non ha nulla a che fare con l’Ucraina, ha a che fare con noi, con la nostra vita, con i nostri problemi, ma trova nei racconti estremizzati di cosa accadrebbe e soprattutto del perché tutto ciò accadrebbe la prova delle prove, la famosa prova del nove.

Dopo quaranta giorni la conquista d’ogni spazio comunicativo da parte di questa guerra persiste, non ci siamo ancora assuefatti. Perché i pareri, le opinioni, gli scontri, si sono sempre più radicalizzati, fino a diventare identici, come due gocce d’acque opposte. Viviamo così con un solo punto di vista: certo, sarebbero due, ma espressi in termini talmente incompatibili da diventare uno solo: o si sta con tutto il bene o si sta con tutto il male.

Un tempo avrebbe prevalso l’idea che il male andava riconosciuto nell’attore fuori di noi, oggi io credo che prevalga l’idea che tutto il male sia l’attore che ci rappresenta, perché nessuno ci dice che possiamo cambiare il nostro mondo, e quindi vogliamo distruggerlo prima che distrugga noi. Ci distruggerebbe con quello che ci preoccupa di più: la disoccupazione, la delocalizzazione, l’impoverimento di molti a favore dell’arricchimento di pochi. È questo che ci rende nichilisti, e la rabbia degli impoveriti è molto diversa da quella dei poveri, che credono sempre nella solidarietà. Per questo riemerge la possibilità presidenziale per Marine Le Pen.

Per questo io credo che solo papa Francesco stia cercando di curarci, tutti. Ma il modo in cui viene inserito nel nostro dibattito lo depotenzia, non ne fa trasparire la forza. Anche di Francesco si tende a fare un giudice, che la domenica mattina a mezzogiorno dà i voti ai protagonisti della guerra: “Ha detto che è colpa di Putin?”. “Ha detto che Biden è un imperialista”? Altrettanto il confronto sul suo possibile viaggio a Kiev è stato deprimente: quasi fosse Superman che va a fermare la guerra e non un pastore che vorrebbe abbracciare il gregge. Ma quando a Malta  accusa i leader di infantilismo nessuno vuole fermarsi a capire. Forse perché infantili siamo noi e il nostro nichilismo in reazione a leadership che ci hanno condotto sin qui con l’allegria spensierata dei naufraghi ubriachi.

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