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Orban risveglia i sovranisti (anche nascosti). L’analisi di Orsina

Il politologo della Luiss: “In questo contesto si è manifestata la grande contraddizione dei sovranisti nel momento in cui devono collaborare a livello sovra nazionale”. E i 5 Stelle: “Il partito si è normalizzato, ma al suo interno continuano ad agitarsi questi moti filo putiniani. In questo contesto, Conte si barcamena. Ma è messo peggio di Salvini”

Esultanza scomposta, il mantra del nemico Soros. Matteo Salvini e Giorgia Meloni, nel congratularsi con Viktor Orban a seguito della vittoria che l’ha nuovamente incoronato presidente dell’Ungheria, sono incappati in una grande contraddizione. Sì, perché se da un lato hanno dato man forte a un leader che – a loro dire – sostiene gli interessi nazionali (che poi è quanto professano di fare anche Salvini e Meloni), hanno votato l’aumento delle spese militari sostenendo la popolazione Ucraina.

Peccato che, tra i nemici giurati di Orban, ci sia proprio il presidente ucraino Zelensky e che il leader ungherese sia invece un beniamino dello zar Vladimir Putin. Storie di ordinaria ipocrisia? Può essere. La cosa certa è che “la crisi in Ucraina sarà un punto di svolta nel rapporto fra populisti e anti-populisti”. A dirlo è Giovanni Orsina, storico e direttore della Luiss School of Government.

Orsina, che cosa sta cambiando nella politica europea alla luce del conflitto?

Tante cose. Prima di tutto è da notare come, nei fatti, il gruppo di Visegrad non esista più. I polacchi, che prima in Europa erano considerati alla stregua di appestati, ora sono invece tornati “in campo” grazie alla solidarietà dimostrata nell’accoglienza ai profughi ucraini.

Dal punto di vista interno, l’appoggio di Salvini e Meloni a Orban non è quanto meno ambiguo?

Per partiti come Lega e Fratelli d’Italia, che per anni hanno giocato sulla contrapposizione tra popolo ed Europa, la conferma alla presidenza del leader ungherese non poteva che essere salutata con favore. Certo, date le circostanze si poteva manifestare la propria approvazione in maniera più sobria. Anche molto più sobria.

Rimane, comunque, la contraddizione di appoggiare il popolo ucraino e sostenere Orban…

Certo, è una profonda aporia. In questo contesto si è manifestata la grande contraddizione dei sovranisti nel momento in cui devono collaborare a livello sovranazionale. Però non si dimentichi che esiste anche un problema simmetrico dall’altra parte.

Ovvero?

Gli europeisti che desiderano a parole maggiore collaborazione sovranazionale ma che poi, di fatto, difendono gli interessi nazionali. Insomma, l’Europa è fatta soprattutto di sovranisti, impliciti o espliciti. E, qua e là, di qualche federalista sincero. Anche perché, almeno in parte, il conflitto sta rivendicando le ragioni della destra sovranista: sta facendo emergere con prepotenza le esigenze della sicurezza a detrimento di una globalizzazione che sta mostrando invece tutti i suoi limiti.

Come valuta la posizione espressa dal Pd, che ha deciso di appoggiare l’aumento delle spese militari?

La valuto molto positivamente, come un segno di realismo. Anche in questo caso, però, di contraddizioni con la storia recente e la cultura del partito non ce ne sono mica poche.

Alla luce di questi scenari, come si collocano i partiti italiani nello scacchiere della destra europea?

Credo che i partiti di destra italiani debbano intraprendere un lungo percorso di ripensamento delle proprie posizioni. È vero come dicevo prima che il conflitto mette in primo piano l’esigenza “sovranista” di sicurezza, ma è vero pure che quell’esigenza non può essere soddisfatta in chiave nazionale, ma quanto meno in chiave “macroregionale”. La destra italiana deve capire quale Europa vuole, e quale comunità atlantica. E deve farlo in fretta.

A proposito di putiniani. Il Movimento 5 Stelle vuole espellere Vito Petrocelli. Ma, tra silenzi e reticenze, la posizione del senatore non sembra isolata tra i grillini…

Sono perfettamente d’accordo. Il Movimento 5 Stelle sta affrontando una crisi identitaria verticale: da partito anti-sistema a quintessenza dell’establishment. Da barricadieri e perfetti inquilini dei palazzi. Insomma il partito si è normalizzato, ma al suo interno continuano ad agitarsi questi moti anti-sistema, queste posizioni anti-atlantiche e filo putiniane. In questo contesto, Conte si barcamena. Ma è messo peggio di Salvini.

In che senso?

La Lega può comunque contare su uno zoccolo duro, su un’anima di elettorato pragmatico del nord che continuerà ad assicurarle il voto. Conte no. E questo, è un grosso problema, anche per il Pd.

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