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Non è pace la resa all’aggressore. Mattarella e il 25 aprile letti da Cazzola

Un popolo ha il diritto di difendere con le armi la sua libertà e il Presidente della Repubblica col suo discorso sulla Festa del 25 aprile ha saputo ancora una volta essere all’altezza del suo ruolo. Ce ne era la necessità, per togliere di mezzo tante ambiguità introdotte nel dibattito sulla guerra in Ucraina dai “pacefondai”

In tempi cupi come quelli che stiamo vivendo ormai da anni, è importante avere dei punti di riferimento affidabili nelle istituzioni. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, col suo discorso sulla Festa del 25 aprile, ha saputo ancora una volta essere all’altezza del suo ruolo. Ce ne era la necessità, per togliere di mezzo tanti distinguo, tante ambiguità introdotti nel dibattito sulla guerra in Ucraina dai “pacefondai”, dai teorici della “complessità” e da quanti chiedono la resa senza condizioni di quel Paese all’aggressore russo, ma la chiamano pace.

Negli ultimi giorni, si era messa in mezzo anche l’Anpi, con affermazioni più che discutibili del suo presidente che finivano – volenti o nolenti – per fare il gioco di Putin. E che hanno conosciuto nelle ultime ore una vistosa retromarcia. In ogni caso aspettiamo di vedere lo svolgimento delle manifestazioni del 25 aprile, perché non sarebbe la prima volta che quell’associazione esprime posizioni settarie e minoritarie sostanzialmente estremiste; e soprattutto discriminanti e divisive.

Nei giorni scorsi vi sono state prese di posizione – magari non ufficiali – che prendevano di mira anche il Pd, come principale responsabile dell’adesione dell’Italia alle sanzioni, all’invio di armi all’Ucraina e, in prospettiva ad una politica di riarmo. Nel dibattito pubblico hanno avuto piena legittimità le opinioni di personaggi capaci – e non è una impresa facile – di dare torto a chi ha ragione, di indicare in Zelenzky e nel popolo ucraino i veri nemici della pace, perché non si sono arresi subito a Putin e chiesto – anzi preteso – la solidarietà dell’Occidente. A migliaia di km di distanza vi sono stati dei santoni già corrispondenti di guerra che, osservando le immagini seduti sul tinello di casa loro, hanno scoperto e denunciato delle messe in scena con cadaveri ambulanti, senza curarsi del fatto che i giornalisti in missione sul posto non se ne sarebbero accorti.

È in questa situazione di deriva morale che il discorso del Capo dello Stato si è caratterizzato nel dibattito in corso come un discrimine invalicabile. Le parole di Mattarella sono risuonale come pietre sul pavimento della sala del Quirinale, nell’incontro con le autorità e le associazioni civili e militari: “L’attacco violento della Federazione Russa al popolo ucraino non ha alcuna giustificazione”. Come a dire, non cerchiamo responsabilità dell’Ucraina, nella Nato, nella Ue e – come avviene di solito – nell’amministrazione americana. Non siamo qui a riscrivere la storia degli ultimi secoli, ma a condannare: “La pretesa di dominare un altro popolo, di invadere uno Stato indipendente, [che] ci riporta alle pagine più buie dell’imperialismo e del colonialismo”.

La banda dei “putiniani a loro insaputa”, protagonisti privilegiati dei talk show, a un certo punto è stata costretta ad aggiornare la linea della comunicazione. Ci voleva una faccia di bronzo come quella di Alessandro Orsini, per farsi elogiare dalla Tass. Le testimonianze delle devastazioni cominciavano a mettere in imbarazzo anche i più ostinati “negazionisti”. Ecco allora dare corso al piano B: i danni irreparabili prodotti dalle sanzioni e dalla guerra. E l’avviso agli italiani dopo la tanto criticata frase di Draghi sui condizionatori. “Vi faranno fare dei sacrifici, chiuderanno le fabbriche, perderete il lavoro”. E chi porta la responsabilità di tutto questo? L’Ucraina perché si ostina a resistere? O chi ha scatenato il terrore e la morte?

“È possibile che questo comporti alcuni sacrifici. Ma questi avrebbero portata di gran lunga inferiore – ha insistito Mattarella – rispetto a quelli che sarebbe inevitabile subire se quella deriva di aggressività bellica non venisse fermata subito”. Viene la conferma dal presidente che non si tratta di un conflitto locale, ma di un’azione di guerra, parte di un progetto molto più ampio, che potrebbe portare all’aggressione di altri Paesi, come gli ex satelliti dell’Urss e le repubbliche baltiche. Che dire poi delle minacce russe alla Svezia e alla Finlandia, intenzionate ad esercitare il diritto di uno Stato sovrano a scegliere i propri alleati? Tutti vogliono la pace, tranne chi l’ha messa in discussione. E Sergio Mattarella chiude il ragionamento invocando, proprio, la pace.

“Dal ‘nostro’ 25 aprile, nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul nostro territorio – ha ribadito il Presidente – viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza”. E quindi l’uso delle armi è legittimo e rappresenta la migliore garanzia per arrivare almeno a una tregua. Nella Guerra di Liberazione – ha ricordato Mattarella – protagonista fu “un popolo in armi” per difendere la propria libertà.

Le parole del Capo dello Stato dovrebbero essere lette dagli oratori delle manifestazioni. E magari aggiungendo – ciascuno nel dialogo con la sua coscienza – una riflessione attenta sul brano seguente: “Gli uomini che appartennero alla Resistenza devono far di tutto per cercare che queste mura non diventino ancora più alte, che non diventino torri di fortilizi irte di ordigni di distruzione e ricercare i valichi sotterranei attraverso i quali, in nome della Resistenza combattuta in comune, si possa far passare ancora una voce, un sussurro, un richiamo. Quello che unisce, non quello che separa rifiutarsi sempre di considerare un uomo meno uomo, solo perché appartiene a un’altra razza o a un’altra religione o a un altro partito”. Sono parole di Piero Calamandrei, uno dei Padri Costituenti che scrisse parole indimenticabili sul significato della Liberazione e della Costituzione Repubblicana.

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