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Dalla pandemia alla guerra, come gestire paure e incertezze

Alla pandemia è succeduta la guerra in Ucraina, ma non possiamo dimenticare tante altre e incisive paure che ci portiamo dietro: quella di crescere, di essere autonomi, di intraprendere relazioni stabili e durature, di non trovare o cambiare lavoro. La riflessione di Rocco D’Ambrosio

Incertezza e paure non sono mai mancate, nella vita dei singoli, dei gruppi, dei popoli. Alla pandemia è succeduta la guerra in Ucraina, ma non possiamo dimenticare tante altre e incisive paure che ci portiamo dietro: quella di crescere, di essere autonomi, di intraprendere relazioni stabili e durature, di non trovare o cambiare lavoro; ci sono le paure delle malattie, dei rischi per strada, del terrorismo, di incappare in ladri, briganti, maniaci sessuali, pedofili, violentatori. E così via.

Su di tutte emerge, madre e sovrana, la paura della morte. Forse oggi le avvertiamo di più perché siamo “di vetro” (V. Andreoli), cioè siamo molto più fragili rispetto alle generazioni passate. Tuttavia si comprende bene come il problema è, innanzitutto, antropologico, prima che sociale e politico. Ovviamente non esistono ricette, vista l’ampiezza del problema e i suoi mille volti. Certamente esistono percorsi educativi e psicologici che aiutano a fronteggiare e superare le tante paure. Come esiste, nel nostro caso, un’analisi che si può compiere sugli aspetti istituzionali della paura.

Il punto è capire, allora, come le istituzioni sociali e politiche generano e amplificano incertezze e paure o come le riducono e le controllano: pandemia e guerra sono un ottimo test per farlo. In termini tecnici il riferimento è alle istituzioni che “controllano l’incertezza” (M. Douglas). O, più semplicemente, ci si può riferire al ruolo delle istituzioni rispetto alle paure dei singoli. Implicitamente riconosciamo, allora, che le istituzioni esercitano, con tempi e modi diversi, una sorta di “azione di protezione” (E. Mounier) nei confronti del singolo, tanto da ridurne le sue incertezze e paure.

Non a caso Hannah Arendt definisce “la paura e l’impotenza come principi antipolitici”, in quanto gettano le persone in “una situazione contraria all’azione politica e contengono un principio distruttivo per ogni convivenza umana”. Consegue che non solo la persona, singolarmente presa o in gruppo, necessita di gruppi e istituzioni che la proteggano, ma anche queste devono impegnarsi a ridurre paure, impotenze e incertezze.

Diversi studiosi offrono oggi attente analisi per comprendere se questa funzione di protezione sia esercitata dalle istituzioni alla stessa maniera che nel passato; per esempio il periodo della nascita del terrorismo confrontato con quello attuale. Certamente possiamo affermare che molte delle nostre insicurezze e paure sono legate alla presa di coscienza della mole di problemi che lo sviluppo scientifico-tecnologico non ha ancora risolto, specie negli scenari così ampi del villaggio globale.

Problemi quali pandemie, malattie gravi e ancora incurabili, aumento della delinquenza e del terrorismo, minacce di una nuova guerra mondiale, conflitti locali violenti irrisolti, disastri ecologici, inarrestabile crescita demografica, crisi economiche continue, carenze di lavoro, conflitti culturali e religiosi e altri potenziali catastrofi costituiscono motivo di apprensione sia nelle piccole realtà istituzionali che nelle grandi. Saremmo tentati anche di attribuire quasi tutte le colpe all’informazione, che spesso moltiplica le emozioni negative (paure e incertezze) a scapito della informazione e formazione autentiche.

Il problema della gestione di paure e incertezze è molto più ampio. Come per la pandemia si inizia da misure igieniche di base: le mascherine, in questo caso, sono un fermo No all’informazione spazzatura che ci affligge: non ce l’ha ordinato il medico di seguire flusso informativi infondati e squallidi. Anzi, meno li seguiamo e meno paura e incertezza accumuliamo.

Ma non esistono solo i media (Tv, giornali, web e social) come strumento di informazione e formazione, ma esistono, con tutte e singole le loro responsabilità: persone, famiglie, scuole e università, comunità di fede religiosa, associazioni, organismi vari. Orbene tutti questi soggetti, tra notevoli difficoltà, non possono mai venir meno nel risolvere le incertezze dei loro membri nutrendoli cognitivamente, come anche a diminuire le loro paure offrendo un supporto emotivo.

Il modo in cui i soggetti citati devono affrontare i problemi fondamentali non ha niente di “esoterico” (E. Voegelin). Infatti paure e incertezze dipendono dalle risposte personali e istituzionali a domande concrete e quotidiane quali: il senso della felicità e il modo per essere felice, la virtù (soprattutto quella della giustizia), le scelte educative, la qualità dello stare insieme.

Queste domande scaturiscono dalle condizioni stesse dell’esistenza delle persone nella società e attendono risposte autentiche, come anche un relativo sostegno emotivo. In altri termini pandemia e guerra non sono piovute del Cielo come punizione, né sono frutto di chissà quale alchimia sociale e politica, sono solo il frutto delle nostre scelte personali, sociali e politiche. Ma sono, al tempo stesso, anche un monito a “rifare” scelte autentiche, secondo giustizia e pace.

Albert Camus ha scritto ne La peste: “Lo stesso flagello che vi martirizza, vi eleva e vi mostra la via…”.

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