Le forze armate francesi hanno lasciato anche l’ultimo avamposto in Mali, terminando definitivamente il loro impegno militare nel Paese. Ora la sicurezza del Paese è stata affidata al gruppo di mercenari russi Wagner, già accusata da Human Right Watch di aver perpetrato delle atrocità ai danni della popolazione civile maliana
Con l’ammaina bandiera del tricolore francese alla base di Gossi, termina l’impegno di Parigi in Mali, un intervento costato all’Esagono migliaia di truppe, miliardi di dollari e oltre 50 soldati morti. Il ritiro è avvenuto prima dell’alba della settimana scorsa, con un centinaio di velivoli che hanno percorso i 160 chilometri che separano l’avamposto francese dalla città di Gao, un percorso durato un giorno e mezzo. Un lungo convoglio che ha attraversato l’arido terreno desertico, protetto dagli elicotteri e con una squadra di genieri che ha aperto la strada, cercando possibili esplosivi nascosti. Ora, la base di Gossi, che ha ospitato tra i trecento e i quattrocento militari francesi, è passata in consegna all’esercito del Mali.
Anche i militari italiani tornano a casa?
Quello in Mali è stato un impegno che ha coinvolto anche altre nazioni europee, tra cui l’Italia, che attualmente schiera duecento uomini alla “Task Force Takuba”, ampliamento multinazionale dell’operazione di Parigi. Dopo il ritrito francese, ora anche le forze italiane potrebbero ritirarsi dal Paese, come riferito a fine marzo dal capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, audito dalle commissioni Difesa di Camera e Senato: “La Francia ha deciso di smantellare l’operazione e noi abbiamo in corso lo studio che, di massima, dovrebbe prevedere il rientro in patria del contingente”.
Una missione iniziata nel 2013
La partenza dei militari francesi da Gossi segue il ritiro delle Forze armate di Parigi dalle basi di Timbuktu e Kidal, e fa parte del ritiro complessivo dal Paese annunciato a febbraio dall’Eliseo. La ritirata segna la fine della missione francese Serval iniziata nel 2013 contro i militanti islamisti presenti nell’area settentrionale del Mali e continuata sotto il nome Barkhane, estendendosi a tutta la regione del Sahel. Dopo i primi successi, il conflitto si era infatti impantanato, vedendo crescere il sentimento anti-francese nella regione e incrinarsi il rapporto con la giunta militare del Mali, al potere dal 2020. A segnare la definitiva fine del coinvolgimento francese è stata anche la scelta del governo di Bamako di affidare la propria sicurezza ai contractor russi del Wagner Group, con un accordo da dieci milioni di dollari al mese, preferendoli alla proposta di Parigi di aumentare la presenza dei Caschi blu dell’Onu.
La presenza dei mercenari russi
Con il ritiro francese, il campo è ora libero per una presenza sempre più massiccia dei mercenari russi della Wagner, che già da diverso tempo sono attivi in Mali. Nonostante le affermazioni del governo di Bamako e di Mosca, che insistono sulla presenza nel Paese solo di addestratori russi per le forze armate locali, diverse organizzazioni internazionali stanno sollevando le proprie preoccupazioni su una possibile escalation della violenza. Secondo Human Right Watch, per esempio, ad aprile i militari maliani e alcuni “soldati stranieri associati”, identificati attraverso diverse testimonianze come “russi”, avrebbero giustiziato in modo sommario circa trecento civili, sospettati di essere combattenti islamici, nella città di Moura.
La campagna diffamatoria della Wagner
Secondo quanto affermato dalle Forze armate francesi, inoltre, i mercenari russi avrebbero lanciato una campagna diffamatoria contro i soldati transalpini dopo la loro partenza. Un drone francese avrebbe infatti sorvolato l’area della base, ormai abbandonata, di Gossi, registrando la presenza di uomini intenti a seppellire dei corpi vicino all’avamposto. Il successivo ritrovamento dei corpi, confermato dal governo di Bamako, ha comprovato le immagini riprese dal drone. Secondo Parigi, l’azione farebbe parte del tentativo russo di addossare false “atrocità” commesse dai militari francesi durante la loro permanenza. Per ora non ci sono stati commenti da parte di Mosca.