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Pensioni e (dis)equilibri di bilancio. Cazzola spiega cosa non dicono i sindacati

Giuliano Cazzola spiega gli aspetti di maggior rilievo contenuti nel Def, in materia di pensioni, dai quali emerge una rilevante preoccupazione per la stabilità del sistema se si continuasse a ignorare i problemi economici, occupazionali, demografici che ne definiscono i contorni

Nell’incontro con il governo del 7 aprile scorso i sindacati hanno insistito per affrontare anche il tema delle pensioni (che evidentemente – nonostante le avvisaglie di una terza guerra mondiale – è il solo problema per cui hanno interesse) e si sono accontentati della consueta giaculatoria con la quale il tema viene messo all’ordine del giorno tra le “varie ed eventuali’’.

L’esito dell’incontro ce lo facciamo raccontare da Domenico Proietti che intervistato, il giorno dopo, da ‘”Pensioni per tutti’’ ha affermato: “Ieri nel corso dell’incontro tra governo e sindacati, il Presidente Draghi ha anticipato a Uil, Cisl e Cgil quanto contenuto nel Def in tema previdenziale, confermando l’impegno a voler affrontare gli importanti temi della flessibilità in uscita, delle future pensioni dei giovani, della valorizzazione del ruolo di cura delle donne e del rilancio della previdenza complementare ferme restando le esigenze economiche e gli equilibri di bilancio’’.

E ha poi proseguito: “Sì possiamo certamente parlare di un impegno importante ma che non deve essere subordinato a necessità di bilancio che spesso in passato sono state l’alibi per interventi ai danni di lavoratori e pensionati. I conti previdenziali sono in equilibrio, ma bisogna fare la necessaria chiarezza separando la spesa previdenziale da quella assistenziale che è propedeutica ad una corretta analisi delle nostre pensioni”.

Chiunque abbia un po’ di buon senso può trovare singolare che un dirigente sindacale di lungo corso come Proietti affronti una questione cruciale per la spesa pubblica come è il sistema pensionistico non badando agli equilibri di bilancio perché a suo avviso basta spostare una quota dell’ammontare complessivo dalla colonna “previdenza” a quella denominata “assistenza” e il gioco è fatto. Come se quelle risorse, comunque importanti, svanissero nel nulla e come se lo Stato non rimpinguasse già il bilancio dell’Inps per circa 115 miliardi ogni anno a saldo delle voci confluite nella Gias (la Gestione degli interventi assistenziali, appunto). Ma lo hanno letto il Def? Si direbbe di no, vista la spensieratezza con cui propongono una maggiore spesa pensionistica. Li aiutiamo noi, nel ripercorrere gli aspetti di maggior rilievo contenuti nel Def, in materia di pensioni, dai quali emerge una rilevante preoccupazione per la stabilità del sistema se si continuasse ad ignorare quel complesso di problemi (economici, occupazionali, demografici) che ne definiscono i contorni.

A partire dal 2013 – è scritto nel Def –  in presenza di un andamento di crescita economica più favorevole e del graduale innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e Pil decresce per circa un quinquennio fino a raggiungere il 15,2 per cento del Pil nel 2018.

Negli anni  2019-2022, il rapporto tra spesa pensionistica e Pil raggiunge un picco in corrispondenza del 2020. Ciò è causato dalla forte contrazione del Pil nella fase più  acuta dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia e dall’applicazione delle misure nel D.L. n. 4/2019 convertito con L. n. 26/2019 (c.d. Quota 100).

Tra il 2023 e il 2025, le previsioni scontano gli effetti della significativa maggiore indicizzazione delle prestazioni. La spesa pensionistica torna dunque a salire e si attesta su valori pari a circa il 16,1 per cento del Pil. Nel decennio seguente, la crescita del rapporto tra spesa per pensioni e Pil accelera raggiungendo un picco del 17,4 per cento nel  2036. Rimane su valori simili fino al 2040 per poi scendere raggiungendo il 15,8% nel 2050. Nella fase finale del periodo di previsione del documento, il rapporto spesa per pensioni su Pil si riduce rapidamente attestandosi al 13,7 per cento nel 2060 e al 13,3 per cento, nel 2070. In sostanza, dobbiamo attendere mezzo secolo per riportare l’incidenza della spesa sul Pil a livelli sostenibili. Poi, sempre che Dio ce la mandi buona con le prospettive drammatiche che si annunciano. Non intendiamo portare sfortuna, ma i sessantenni in Ucraina sono al fronte.



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