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Meno fisco e più produttività. La svolta salariale che ci serve

Le presidenziali francesi hanno acceso un faro sui populismi europei. Non esente anche l’Italia. Come fronteggiarli? Svolta salariale con riduzione del fisco e rilancio della produttività, premiando l’impegno produttivo in tutte le professioni. L’intervento di Raffaele Bonanni

L’esperienza elettorale per il rinnovo della Presidenza della Repubblica francese, ha manifestato ancora una volta il potere di attrazione delle formazioni populiste e sovraniste su ampie fette di lavoratori e ceti medi.

Da diversi anni questo fenomeno si è sviluppato sensibilmente anche in altri Paesi europei, a partire dall’Italia, che da almeno un decennio ha visto crescere a vista d’occhio il populismo a scapito delle formazioni politiche tradizionali e moderate, rendendo la realtà politica nazionale ancora più debole e instabile di prima, con ripercussioni sulla economia e sulla credibilità delle istituzioni democratiche. Questo contesto è stato largamente prodotto dalla debolezza delle garanzie sociali provocato dalla mondializzazione della economia, dalla redistribuzione della ricchezza ridimensionata, dal potere politico delle nazioni insidiato dal potere della finanza e dei big tech.

Una porzione importante di lavoratori e ceto medio, che da più di un secolo ha costituito in Europa lo zoccolo portante del potere politico democratico, ben presto, avvertendo emarginazione, ha abbandonato i suoi riferimenti storici, oramai percepiti incapaci di esprimere le loro istanze di fronte ai cambiamenti epocali avvenuti.

In Italia ed Europa questo clima di smarrimento della società e di debolezza politica ha permesso a Russia e Cina di tessere una ragnatela ostile all’Europa con soggetti economici e politici, alimentato da finanziamenti ed occasioni economiche, e di promuovere un fiume mai interrotto di fake news, per istigare la opinione pubblica alla divisione, con lo scopo di frenare il più possibile la costituzione dell’Europa Federale, e sostenere le proprie quinte colonne nell’agone politico.

Il loro disegno è stato ed è quello di far fallire la presenza potenzialmente ingombrante dell’Europa nello scenario mondiale e di penetrare nei gangli economici europei e piegarli ai loro interessi. Ora, arrivati al culmine di chiarezza dei calcoli russi e cinesi sui livelli di potere che intendono raggiungere sui vari scacchieri regionali con la Russia nuovamente scatenata alla aggressione di Paesi sovrani, credo che dovremmo porci con decisione e rapidità alcuni cruciali obiettivi.

È sicuramente importante dotarsi di una organizzazione militare continentale all’altezza delle provocazioni in atto, come provvedere alla autonomia energetica ed alla strutturazione in vero Stato federale l’Europa. Ma occorre provvedere anche a rimediare ai guasti interni del fronte sociale, che va subito considerato un caposaldo da difendere rielaborando soluzioni per un nuovo orizzonte da prospettare a lavoratori e ceto medio che storicamente, in situazioni positive, sono stati sempre il motore per il progresso delle loro comunità. È proprio il cuore della cultura europea, quella sociale, che può sbloccare le nostre comunità dallo spaesamento culturale e politico attuale e ridarci speranza ed energia per affrontare le sfide dei prossimi tempi.

Legare in un tutt’uno la economia sociale di mercato, la partecipazione dei cittadini lavoratori alle scelte economiche e produttive, e la redistribuzione equa dei profitti, ha il preciso scopo di ricostruire una piattaforma solida economica, politica, sostenuta dall’etica della responsabilità, che dovrà ridefinire nuovamente un sistema di diritti legati indissolubilmente ai doveri. Ricostruire infatti le basi normative e morali dell’impegno ripagato nella vita professionale virtuosa, non potrà che rinnovare profondamente le comunità ridando dignità e valenza ai propositi di maggiore produttività, di riconoscimento del valore del risparmio, di redistribuzione equa dei profitti nell’impresa: il contrario di paradigmi sinora imposti dal populismo nostrano.

E allora preparare una necessaria svolta salariale legata alla riduzione del fisco e al rilancio della produttività, e premiare l’impegno produttivo in tutte le professioni in alternativa alla deriva assistenzialistica che brucia risorse pubbliche in una spirale di spreco e di pedagogia negativa. L’abbandono sciagurato della grande questione del reddito dei lavoratori e della filosofia produttivistica che la deve sostenere, ha procurato guasti gravi nella società italiana, e ha corroso nel tempo la coesione sociale che dovrà essere subito riparata da soluzioni concrete rette dalla filosofia legata al rilancio della produttività del sistema Italia.

E allora se le le nostre sorti di autonomia dipenderanno da come sapremo affrontare l’invasione dell’Ucraina e da come organizzeremo l’Europa, dipenderanno ancor maggiormente dalla questione sociale, in primis quella sul reddito e dei criteri per aumentarlo. Insomma anche attraverso la battaglia di rigenerazione del reddito dei cittadini lavoratori si combatte nel fronte interno la buona battaglia della democrazia.

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