Intervista a Matthew Rojansky, presidente della Fondazione Stati Uniti-Russia, già direttore del Kennan Institute. La diaspora russa un fallimento per Putin, il Paese perde il meglio della società civile, il resto viene soffocato. Ecco perché il loro destino è anche quello dell’Occidente
All’esodo dei profughi ucraini in fuga dall’orrore della guerra russa si somma un’altra diaspora che riguarda da vicino l’Occidente. Mentre Vladimir Putin stringe la morsa autoritaria in casa, una parte della società civile russa fugge, lasciando il Paese a un destino incerto. Per Matthew Rojansky, presidente della Fondazione Stati Uniti-Russia, “non si può rimanere indifferenti”.
Putin ha un fronte interno in Russia?
Non c’è più una vera opposizione a Putin e se c’è non si vede. Il regime l’ha soffocata a suon di arresti mirati, da Navalny a Kara-Murza, entrambi avvelenati. Anni di repressione della società civile russa stanno dando i loro frutti.
La guerra è uno spartiacque?
Ha accelerato tutto. Il governo russo ha stretto il controllo sui media indipendenti, la nuova legge contro le “fake news” può fare arrestare anche chi nomina la parola “guerra”. Una t-shirt, un poster di troppo sono sufficienti.
Che impatto avrà la stretta sulla società civile russa?
Chi potrà lasciare il Paese lo farà. Sta già accadendo: si stima che tra il 5% e il 10% degli specialisti in materie IT sia partito, circa centomila persone. A questi si aggiungono imprenditori, studiosi, avvocati, la parte più creativa della società. Rimangono i grandi industriali, specie nelle partecipate: loro sono parte del sistema.
Gli oligarchi hanno davvero potere a Mosca?
Hanno un enorme potere economico ma non tutti hanno accesso all’apparato di sicurezza. Chi è entrato in collisione con il palazzo deve garantire da solo la sua incolumità. In pochi vantano davvero influenza sul Cremlino.
Chi conta nell’inner-circle di Putin?
Non lo sappiamo con certezza. Putin sta militarizzando la politica russa, dunque i militari ora hanno più peso. Seguono l’intelligence, gli apparati di sicurezza, la polizia segreta. Ma anche loro sono nel mirino per il disastroso bilancio della guerra in Ucraina. E infatti alcuni dei vertici sono già finiti in manette.
Fuori dal palazzo c’è davvero chi si oppone allo zar? Le proteste di piazza delle prime settimane sembrano rientrate.
I numeri dicono che c’è una resistenza. Più di diecimila persone sono state arrestate. Secondo le stime delle ong più di mezzo milione di russi ha lasciato il Paese, molti altri stanno valutando i rischi di restare.
Cosa li frena?
I soldi, soprattutto. Chi è benestante può partire, per gli altri è difficile. La propaganda di Stato divide le famiglie russe, madri contro figli. E Putin sta cercando di arginare l’esodo.
Come?
Ispezioni e arresti al confine. La polizia controlla i cellulari, verifica eventuali contatti con attivisti, un sms sbagliato può portare all’arresto. Il governo ha varato una legge ad hoc: non si può lasciare la Russia con più di 10mila dollari dietro. A Budapest, Sofia o Berlino durano poco.
Chi scappa dove va?
Molti nei Paesi limitrofi. In Georgia, a Tsibilisi, in Kirghizistan. Anche per loro non è facile: gli account delle banche russe sono congelati, non possono prenotare Airbnb per dormire. Chiariamoci: le vere vittime sono i profughi ucraini, che scappano dall’orrore della guerra russa. Ma di questa situazione bisogna dare conto.
Cosa può fare l’Occidente?
Manifestare apertamente, senza equivoci, il sostegno alle opposizioni russa e bielorussa. Chiarire di non essere in guerra con il popolo russo, perché con il popolo russo è in guerra Putin. Offrire agli esuli uno status legale, supportare la società civile russa. Dobbiamo fare in modo che queste persone, quando sarà possibile, tornino nel loro Paese.