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Sanzionare Putin. Cosa c’è (davvero) sul tavolo Ue

Sulla carta, si procede in punta di piedi. Le sanzioni Ue contro Mosca colpiscono la punta dell’iceberg. Ma di fronte all’escalation di orrore in Ucraina niente è escluso, nemmeno il petrolio e il gas. E c’è un fattore emotivo che può accelerare le procedure

Troppo o troppo poco? Mentre riemergono ogni giorno gli orrori dell’invasione russa in Ucraina a Bruxelles prosegue il lavorìo diplomatico per rispondere a Vladimir Putin, colpo su colpo. Il quinto pacchetto di sanzioni approvato giovedì divide gli addetti ai lavori. Il menù è ricco: embargo graduale al carbone russo, estensione della black list di personalità vicine al Cremlino (tra cui le due figlie di Putin, Katerina Tikhonovna e Maria Vorontsova) e delle banche russe escluse dal sistema Swift. Ma è pur sempre un menu à la carte, dove mancano le portate più costose. Come il gas e il petrolio, che l’Ue continuerà a commerciare con Mosca, per il momento.

Non ha trovato seguito l’indicazione politica del Parlamento Ue, che votando una risoluzione ha chiesto l’embargo tout-court dell’energia russa. Del gas si sapeva: ci vuole tempo, quanto basta agli Stati membri per trovare altre rotte e garantirsi un autunno al caldo, e non è impresa di poco conto.

Neanche il petrolio però sarà, almeno sulla carta, all’ordine del giorno del Consiglio Affari Esteri che l’Alto rappresentante Josep Borrell riunirà a Bruxelles lunedì. Non si spazza via a cuor leggero un business da 4 miliardi di euro all’anno. Tanto più con un voto formale a cui potrebbe ben seguire un veto, magari del filorusso Viktor Orban, fresco di rielezione per un quarto mandato da premier ungherese.

“È stato già fatto tanto”, è il jingle che va per la maggiore tra i diplomatici europei, reduci da una maratona senza precedenti, con un crescendo di sanzioni contro Mosca tutte approvate in tempi record, 36 ore dalla proposta alla pubblicazione in Gazzetta. Si procede dunque un passo alla volta. Come non vorrebbero gli ucraini e Volodymyr Zelensky, pronti ad avviare le pratiche per entrare nell’Ue da inizio giugno. L’immagine che propone un ambasciatore in prima fila è quella di un rally: “Nessuno sa cosa c’è dopo la curva”.

Un mese fa, l’esclusione delle banche russe da Swift era considerata una chimera. Certo, notano i più puntigliosi, dentro il sistema di pagamenti internazionali è rimasta più di metà delle banche russe, comprese quelle a cui gli Stati Ue, Italia inclusa, inviano i bonifici per pagare il gas. Ma ormai nulla è fuori portata.

Il modus operandi della Commissione segue un moto semplice: azione-reazione. La strage di Bucha, ad esempio, con la stuola di cadaveri di civili ammanettati giustiziati e abbandonati per strada dai russi, ha dato il là all’embargo contro il carbone. Quella di Kramatorsk – più di cinquanta civili morti, colpiti da un missile in una stazione al confine Est – potrebbe alzare il pressing per abbattere il torchio delle sanzioni contro il petrolio russo.

Dopotutto lo ha promesso la stessa Ursula von der Leyen, impegnata in questi giorni in una visita a Kiev e nelle periferie liberate, da Bucha ad Irpin, dove ha visto di persona la devastazione umana lasciata dall’occupazione russa. Un tour che ­– lo sa il governo ucraino – potrebbe avere un impatto sulla road map delle sanzioni Ue.

Il fattore emotivo, non meno di tanti calcoli economici, ha avuto voce in capitolo fin dall’inizio dell’invasione, quando a un commosso discorso di Zelensky collegato con la Commissione è seguito, il giorno dopo, il primo, duro pacchetto di misure. E allora se è vero – come va ripetendo la diplomazia italiana – che le sanzioni “non sono il fine ma lo strumento”, è vero pure che l’imprevisto è dietro l’angolo.

L’arma “nucleare” resta e non può che essere il gas. Ad oggi un fronte compatto fa ostruzionismo. Guida la Germania di Olaf Scholz, seguono l’Austria e la Slovacchia, si accoda anche l’Italia di Mario Draghi. Che però ha già marcato il terreno politico, in tandem con la Farnesina di Luigi Di Maio. Se sarà necessario, hanno ribadito entrambi e a più riprese – con un gesto che forse spiega il crescente nervosismo del governo russo verso Roma – l’Italia sarà pronta a chiudere i rubinetti.


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