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Draghi, Mattarella e l’ospedale Italia

Il primo passo per sfidare le autocrazie e i loro aedi nostrani è rimettere a posto l’Ospedale Italia. Dal Parlamento svuotato alle riforme in freezer, una road map per Draghi e Mattarella. Il commento di Francesco Sisci

Questa settimana sulle pagine del Foglio il professor Sabino Cassese affrontava la questione dei poteri del presidente e della repubblica presidenziale, essenziale nell’attuale quadro di governo italiano.

Cassese spiegava che la questione era stata dibattuta dai costituenti e Costantino Mortati, uno di loro, lo aveva posto al centro degli equilibri della democrazia stessa.

Cassese ne ha parlato sule pagine di un giornale, poiché non è membro del parlamento. Diversamente da lui Mortati fu parlamentare, per la Dc precisamente.

Che Cassese, influente pensatore, non sia membro del parlamento, quando Mortati lo era, dice che una volta quella assemblea era il centro del dibattito politico e culturale, oggi non lo è più.

Resterà un centro di potere, ma senza influenza e cultura diventa poc’altro che un mercato delle vacche, un fulcro di smistamento di scambi di bassa lega, ma smette di contare davvero. Cioè con dentro i Cassese, i Mortati, il Parlamento è importante, senza di loro diventa una scatoletta di tonno vuoto.

Il depauperamento intellettuale del Parlamento, e quindi il suo depotenziamento materiale, per citare di straforo Mortati, è motivo sostanziale del potere oggi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Presidente del consiglio Mario Draghi.

Ciò è già fuori dallo spirito della costituzione secondo cui in Italia non si elegge direttamente il presidente (come in America o in Francia) o il premier (come nel Regno Unito), ma si da una centralità speciale al parlamento che elegge entrambi, presidente della repubblica e del consiglio dei ministri.

Questo disallineamento profondo tra principi e fatti si ritrova a un livello più sostanziale, nel comportamento dei singoli italiani.

Essi infatti 1. Sono i maggiori risparmiatori di Paesi sviluppati 2. Unici tra Paesi sviluppati, sono esportatori di capitale finanziario (50-60 miliardi di euro all’anno) all’estero 3. Sono i maggiori evasori fiscali tra i Paesi sviluppati.

Ciò significa che: risparmiano, evadono e portano fuori. Quindi certamente non si fidano dello Stato. Però la loro reazione non è di organizzare un nuovo Stato, eleggere un nuovo governo. Infatti le tasse servono a fornire servizi erogati dallo Stato, perché in teoria la collettività pensa che sia meglio erogare certi servizi come stato e non come organizzazioni private.

La risposta invece degli italiani è darsi alla fuga individualmente. Essi non si fidano gli uni degli altri, e non fidano di uno Stato che sembra agire non pensando ai servizi da rendere ma agli interessi di chi vive di Stato e, forse anche per questo, non si fida dello Stato, dei suoi colleghi statali e dei suoi servizi.

Una conferma dello scollamento tra Stato e cittadini, e cittadini stessi, si ritrova poi nei dati del voto.

La metà degli aventi diritti non va a votare; due milioni di italiani, spesso i migliori e più volenterosi, sono a lavorare all’estero, lì pagano le tasse; due milioni di immigrati vivono e lavorano in Italia, pagano le tasse, ma non votano.

Così gli immigrati italiani all’estero e esteri in Italia, violano il principio base della modernità, in base a cui si vota per eleggere rappresentanti che dovranno osservare come vengono spesi i soldi delle loro tasse.

È il “no taxation without representation” che distingue uno Stato democratico da una tirannia. Quindi, insomma, il Parlamento non rappresenta il Paese, rappresenta sé stesso.

Cioè le storture istituzionali trovano un riflesso nelle storture sociali e politiche profonde. Il Paese è sbilenco dall’inizio alla fine. Il presidente e il premier governano passando sul Parlamento, perché tanto non ha niente da dire, e si fanno pagare le tasse come si può perché comunque la macchina deve andare avanti e non può bruciare a un lato della strada.

È tutto, nella pratica, giusto. Non possiamo smettere di curarci perché l’ospedale è fatiscente e le medicine scadute, solo facciamo affidamento ai medici migliori del mondo.

Allo stesso tempo non possiamo ignorare che strutture fatiscenti e medicine scadute uccidono quasi quanto la malattia, al di là della bravura dei medici. Dopodiché se il medico è scadente è morte certa.

Cioè le questioni strutturali sono importanti come e forse più della personalità guida e spazzare tali questioni sotto il tappeto aumenta solo il carico dei medici che rischiano poi di essere travolti dal crollo dell’ospedale.

Fuori di metafora allora occorre un nuovo contratto sociale fra italiani stessi e fra loro con lo Stato. Questo diede vita alla Repubblica. Eppure 80 anni fa il perno furono i partiti che avevano mantenuto una loro vitalità anche sotto la dittatura. Oggi i partiti sono uno dei problemi.

Sono strutture burocratiche, come gli statali, che non lavorano per il bene della comunità e del paese ma per mantenere il loro Zaloniano “posto fisso”. Solo che se salta il Paese, non si salva nessuno, a cominciare da quelli col posto fisso.

L’esperienza della guerra in Ucraina dovrebbe provare che il ritorno di possibilità drammatiche non è remota, e che se un Putin qualunque arrivasse in Italia la pacchia finirebbe per tutti, a cominciare dai putiniani d’accatto nostrani.

In teoria si potrebbe ricominciare dai “medici bravi”. Mattarella e Draghi forse dovrebbero cominciare a raccogliere idee alte, profonde, al di là della quotidianità per rimettere insieme l’ospedale Italia.


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