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Elon Musk è pronto alla sua rivoluzione. Come cambierà Twitter

I 44 miliardi di dollari offerti dall’imprenditore sono stati sufficienti a convincere i vertici dell’azienda. Entro l’anno dovrebbe arrivare l’ufficialità. Poi, inizieranno i cambiamenti radicali che Musk ha in testa. Le prime reazioni dividono la politica: i repubblicani esultano (ma Trump non tornerà), mentre i dem avvertono sui rischi. Come Bezos, che si chiede quanto la Cina ne potrà godere

Quando Chris Anderson gli ha domandato se avesse un piano B nel caso in cui Twitter avesse rigettato la sua offerta, in quella risposta affermativa forse non ci credeva neanche lo stesso Elon Musk. Non c’è stato bisogno di alcuna controfferta: il consiglio di amministrazione ha detto sì all’unanimità ai suoi 44 miliardi di dollari (54,20 dollari per ciascuna azione). Il tutto dovrebbe concludersi entro quest’anno, con il Ceo di SpaceX e Tesla pronto ad aggiungere un altro pezzo da novanta nella sua collezione.

In venti giorni, si è scritta la storia. Il 4 aprile scorso Musk comprava il 9,2% delle quote passive della società, diventando di fatto il suo maggior azionista. Di fronte alla promessa di non alzare mai la sua quota oltre quella del 15% e quella di non comprare mai l’azienda ci credevano in pochi. Musk non si muove per caso, né tantomeno è il tipo che accetterebbe di condividere un qualcosa come Twitter insieme ad altri. Lo ha ammesso lui stesso nella chiacchierata con Anderson, al TED22, che non è uno a cui piace perdere. E non ha perso. Neppure la “pillola avvelenata”, con cui il board ha cercato di bloccare Musk nella sua scalata alla vetta, è riuscita a fermalo. I finanziamenti necessari sarebbero stati trovati grazie a Morgan Stanley, che insieme ad un altro gruppo di investitori ha tirato fuori 13 miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti i 12,5 miliardi che Musk ha preso in prestito dalle sue azioni in Tesla. Il resto, ha dichiarato l’imprenditore qualche giorno fa, è stato trovato grazie a banche del calibro di Barclays e Bank of America. Ora che manca davvero poco al traguardo, Twitter si appresta a diventare una società privata, fuori dalla Borsa oltre ad essere il primo test su come potrebbe funzionare il mondo dei social se finisse (totalmente) nelle mani dei miliardari.

Come si potrebbe trasformare Twitter con Musk

L’imprenditore sudafricano, nonché l’uomo più ricco sulla faccia della terra, ha festeggiato con una serie di tweet che lasciano intendere l’impronta che vuole dare alla sua nuova creatura. Dovrà essere libera, questo è sicuro. Alla base ci sarà il “free speech” – quello che secondo Musk dovrebbe rappresentare “il fondamento della democrazia” – che dovrebbe apportare il primo vero cambiamento. Cosa voglia esprimere tale concetto, lo ha spiegato nuovamente in un suo post dove si augura che “anche i miei peggiori critici rimangano su Twitter, perché è questo quello che significa la libertà di parola”. In sostanza, bisognerà tollerare quello che non piace senza puntare il dito o etichettare il diverso: tutti potranno dire ciò che vogliono. Più facile a dirsi, che a farsi. Ma, soprattutto, più pericoloso che mai. Secondo alcuni questo modello di dialogo non può che peggiorare i discorsi di odio e la disinformazione che già a fatica si provano a contenere sulle piattaforme.

Le nuove regole potrebbero anche riaprire capitoli che sembravano ormai chiusi. Il primo è quello di Donald Trump, esiliato da Twitter dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio del 2021. “Mi piace Elon Musk”, ha riferito alla CNBC l’ex presidente degli Stati Uniti. “Lui mi piace molto. È un individuo eccellente. Abbiamo fatto molto per Twitter quando ero alla Casa Bianca”, ha sottolineato il tycoon che, tuttavia, esclude la riapertura del suo account. “Non tornerò su Twitter”, ha sentenziato giustificando la scelta con la delusione del trattamento riservatogli dai vertici dell’azienda.

Parole che, conoscendolo, potrebbero essere smentite nel giro di poco tempo. Al momento, però, Trump sembrerebbe voler rimanere e concentrarsi sul suo Truth, un social tutto suo che si fonda proprio su un mondo senza filtri e deregolamentato ma che fa molta fatica a imporsi sulla scena. A lasciare una porta aperta è stato anche il Ceo di Twitter Parag Agrawal. Interrogato sui nuovi cambiamenti a cui andrà incontro il social, ha sottolineato come questi non avverranno prima della chiusura dell’accordo, così come non ci saranno licenziamenti prima di quel giorno. Ma, ha avvertito, nel momento in cui sarà ufficializzato “non sappiamo in quale direzione potrebbe andare l’azienda”.

Lo si sta provando a immaginare, grazie ai sondaggi e ai vari tweet del suo prossimo proprietario. Alle domande rivolte ai followers, Musk ha chiesto se ci fosse l’esigenza di un edit button che permettesse all’utente di modificare i suoi messaggi e di un algoritmo open source. In entrambi i casi, la risposta è stata largamente affermativa. La prima dovrebbe essere più facile, dato che ci si sta lavorando già da adesso. La possibilità di modificare un tweet non deve essere vista come un qualcosa di eterno, ma rimarrebbe semplicemente un modo per permettere a un utente di correggere entro pochi minuti un suo tweet, magari per una svista grammaticale. Non sarà quindi possibile andare a ritroso e cambiare post troppo vecchi. Per quanto riguarda invece l’algoritmo, la questione si lega perfettamente alla deregolamentazione che ha in testa Musk. Nessuna autorità, pertanto, avrà il potere di decidere e manipolare i contenuti che passano sul social.

Un’altra promessa è quella di eliminare bot o spam vari e di combattere le truffe online. “Se la nostra offerta su Twitter va a buon fine” li “sconfiggeremo o moriremo provandoci”, ha scritto cinque giorni fa Musk aggiungendo che sulla piattaforma ci saranno solo “veri umani”. L’offerta, come abbiamo visto, è andata davvero a buon fine e adesso la rivoluzione sembrerebbe pronta.

Come l’hanno presa investitori e dipendenti

Non era così scontato che Musk potesse vincere. Le preoccupazioni del Board di Twitter erano evidenti, in quanto per accettare una proposta del genere bisogna assumersi le proprie responsabilità. Non si tratta infatti solamente di uno degli acquisti più costosi di una società quotata in borsa, che prevede anche il debito (leverage buyout), ma di immaginare quali scenari può aprire uno strumento potente come Twitter a disposizione di una sola persona, la più ricca di tutte per di più. Di certo non si può dire che Musk parta con il vento in poppa.

Gli azionisti hanno già lanciato una causa contro di lui per non aver comunicato con le giuste tempistiche alla Securities and Exchange Commission (SEC) il suo desiderio di acquistare più del 5% delle quote societarie. Quando viene superata questa soglia, infatti, si è costretti a dichiararlo almeno dieci giorni prima dell’opa, in modo tale che gli investitori ne siano informati. Musk se ne è infischiato e ha continuato ad acquistare azioni, il cui valore era molto più basso poiché non teneva conto di una sua offerta. Quando è arrivata, sono schizzate (non del tutto scontato). L’imprenditore di Pretoria ha avuto sì la meglio, riuscendo a convincere chi di dovere, ma adesso dovrà ricucire il rapporto con una parte essenziale del mondo di Twitter.

A storcere il naso ci sono poi i dipendenti, tenuti all’oscuro dalle decisioni da prendere. La loro preoccupazione è che con l’arrivo di Musk tutti gli anni di lavoro impiegati per migliorare Twitter vengano messi da parte. Pochi altri, invece, lo stimano come persona e come professionista e, quindi, sono disposti ad accettarlo come capo. Che ci siano stati d’animo differenti rientra nel normale ruolo delle parti: quando cambiano i vertici di una società, le domande e le paure dei dipendenti sono all’ordine del giorno. In molti si chiedono se Musk possa trasferire la sede di Twitter in Texas, vicino a quella di Tesla, così come molti altri si domandano se ci sarà ancora posto per loro nel nuovo piano imprenditoriale. A placare le loro ansie ci ha pensato il Ceo Agrawal, che ha garantito continuità fino a quando ci sarà lui. Ma oltre questo, non può promettere nient’altro.

La reazione della politica

Abbiamo già detto che quello che era l’utente numero uno – Donald Trump – per il momento non rientrerà su Twitter neanche se fosse Elon Musk a chiederglielo. Ne fa una questione di principio e non nei confronti della persona, di cui ha grande stima. La politica si è tuttavia divisa nel leggere la notizia. Il governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis, ha scritto che l’acquisizione “è un buon affare per gli azionisti e solleva la prospettiva che la piattaforma sarà un luogo in cui la libertà di parola può prosperare”. “Ottima notizia. Tanti complimenti, Elon Musk. Speriamo che questo segni una svolta”, ha twittato il padre della Brexit Nigel Farange.

Dall’altro lato, invece, c’è chi frena e teme che ci possa essere una deriva che metta a rischio la democrazia. La senatrice democratica del Massachusetts, Elizabeth Warren, ribadisce piuttosto la necessità di una tassa sui più ricchi per regolamentare il loro modus operandi. Dello stesso identico avviso anche la rappresentante dem dello Stato di Washington, Pramila Jayapal: “È assurdo che una persona possa permettersi di acquistare Twitter per più di $ 40 miliardi mentre le famiglie che lavorano in tutto il Paese devono scegliere ogni giorno tra l’acquisto di generi alimentari o i loro farmaci da prescrizione”, ha scritto su Twitter invocando maggiori tasse per le fasce più ricche della società. Robert Reich, che ha fatto parte del governo di Bill Clinton, ha posto l’accento sulla terminologia utilizzata da Musk: “Quando miliardari” come lui si giustificano dietro la parola “libertà, attenzione. Quello che cercano in realtà è la libertà dalle responsabilità”, ha tuonato.

I complimenti di Dorsey, i dubbi cinesi di Bezos

A fare rumore, però, sono altre dichiarazioni. Da una parte ci sono quelle rilasciate dall’ex Ceo e fondatore di Twitter, Jack Dorsey, che ha scritto come il social “è sempre stato il mio unico problema e il mio più grande rimpianto. È stato di proprietà di Wall Street e del modello pubblicitario. Riprenderlo da Wall Street è il primo passo”. Per lui considerare Twitter come un’azienda non è il modo più appropriato per descrivere quello che dovrebbe rappresentare ma, sottolinea, dato per assunto che sia una società “Elon è l’unica soluzione di cui mi fido”. I due condividono infatti la necessità di un mondo virtuale più libero, che può essere riassunto nel concetto di Web3.0. “L’obiettivo di Elon di creare una piattaforma che sia affidabile al massimo e ampiamente inclusiva è quello giusto” ha continuato Dorsey elogiando anche il Ceo Agrawal, da lui scelto e che ringrazia per il grande lavoro svolto. La strada è dunque “quella giusta”.

Non per tutti, forse. I dubbi di Jeff Bezos, il secondo uomo più ricco al mondo, riguardano i benefici che la Cina potrebbe ottenere da questa operazione. Riprendendo un tweet di un giornalista del New York Times che ricordava quanto Tesla fosse importante per Pechino (secondo mercato più grande dopo gli Stati Uniti lo scorso anno; i produttori cinesi di batterie elettriche sono i primi fornitori dell’azienda automobilistica; la minima, se non nulla, influenza del governo cinese su Twitter dopo averlo bandito nel 2009), la domanda che si è posto il patron di Amazon è stata molto semplice: “Il governo cinese ha appena ottenuto un po’ di influenza sulla piazza della città?”. Il riferimento riprende il concetto di digital town espresso da Musk per indicare quanto Twitter sia importante nella società. Una risposta ha provato a darsela da solo. “Probabilmente no. Il risultato più probabile a questo proposito è la complessità in Cina per Tesla, piuttosto che la censura su Twitter. Ma vedremo. Musk è estremamente bravo a navigare in questo tipo di complessità”, ha scritto.

I prossimi mesi chiariranno dove vorrà arrivare Musk e fino a che punto è disposto a spingersi per trasformare Twitter. Al momento, si gode la sua ennesima vittoria, ottenuta secondo i suoi dettami: 44 miliardi di dollari, d’altronde, non necessitano di un piano B.



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