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È tempo di rimandare al mittente le lusinghe di Putin

La crisi geopolitica, energetica, umanitaria ed economica, dev’essere considerata un tutt’uno dagli italiani che non vogliono rassegnarsi. Senza una idea coerente sul nostro destino e con una guida politica all’altezza della situazione, continueremo a rovinare i presupposti del nostro benessere futuro

L’invasione dell’Ucraina, ha messo a nudo ogni aspetto dietro cui molti italiani ed europei non hanno nel tempo voluto né vedere né capire i cambiamenti avvenuti nell’ultimo ventennio. Dopo l’ultimo conflitto mondiale molte costituzioni di Paesi ex belligeranti hanno ripudiato la guerra e conseguentemente hanno ridotto ai minimi termini la loro Difesa, ma potendo contare sulle basi militari Usa dispiegate nel nostro continente: dal mar del nord, al fianco orientale continentale, al Mediterraneo, che provvedevano a contenere le volontà espansionistiche e di allargamento dell’influenza dell’Unione Sovietica.

Crollato il muro di Berlino e dissolta la potenza Sovietica, si è ritenuto erroneamente che la Russia potesse democratizzarsi e non si è preso atto che dai cascami del vecchio regime si stesse costituendo una “cosca” formata da ex gerarchi determinati ad accaparrarsi le ricche filiere energetiche ed i gangli del nuovo Stato. Nel corso del primo periodo del ventennio Putin e i suoi amici hanno consolidato il loro potere economico-politico lusingando gli europei; nel secondo hanno agito per penetrare la politica stessa in diversi Paesi europei, finanziando partiti politici per costituire un aggregato sovranista, inondando di falsità l’opinione pubblica per suscitare sentimenti anti Bruxelles, per indebolire l’atlantismo, per imprigionare nella ragnatela energetica russa i Paesi industrializzati: Italia e Germania in testa, per costituire un aggregato “sovranista” utile come pedina per condizionare gli Stati membri dell’Unione. Putin, coscio della debolezza strutturale dei sistemi politici europei, ha osato nel crescendo mai contrastato, persino alimentare nel cuore dell’Europa il mito di sé stesso di “vir fortis”.

In questo clima, le sue azioni militari illegali ai danni di alcuni Paesi del Caucaso, e sulla Crimea, non hanno costituito nessun campanello di allarme per gli europei. Così Putin ha potuto constatare che i suoi piani erano ben congegnati al punto da invadere l’Ucraina; un Paese grande due volte l’Italia con una popolazione pari alla Spagna. Contando sulla cloroformizzazione avvenuta della opinione pubblica europea, ha calcolato che gli Stati Uniti fossero ormai più interessati al Pacifico che al vecchio continente, e che stante le cose in tal modo non avrebbe reagito concretamente ripetendo così in grande il colpo Crimea di otto anni prima. Credo che nessuno abbia messo davvero in conto la determinazione alla resistenza Ucraina che ha scombinato i piani di molte cancellerie. Infatti è molto verosimile pensare che qualora le dinamiche fossero andate diversamente, l’Europa avrebbe al massimo protestato, e gli Usa pur meditando riorganizzazioni future, avrebbero fatto buon viso a cattivo gioco.

È dunque la lezione identitaria ed eroica dell’Ucraina che è riuscita a convincere gli ex Paesi dell’orbita sovietica alla necessità della evoluzione in Stato dell’Unione europea con relativo esercito, e la stessa Germania al riarmo. In questi giorni, incoraggiato dallo sdegno della opinione pubblica tedesca e dall’indebolimento oggettivo di Putin, il cancelliere Scholz ha assegnato subito ben 102 miliardi di euro alle proprie forze armate, ed almeno il 2% del proprio bilancio annualmente per il proprio esercito, inoltre si è impegnato stavolta ad andare oltre gli elmetti, inviando alla luce del sole a Zelensky armi difensive ed offensive, ponendo le premesse per un necessario processo di costituzione di un unica difesa europea.

E l’Italia? Il bel Paese sembra penosamente più permeabile di altri Paesi alle lusinghe russe, debole a causa di vecchi impulsi anti americani costituiti da sacche rosso-brune sostenute dai russi, e del mondo cattolico, che non sanno distinguere l’adesione ai principi dalla gestione dell’emergenza, della Cgil che fa da traino al pacifismo ambiguo degno di cause lontane dai meriti passati del sindacato. Nei fatti siamo ancora una volta visti dagli alleati l’anello più debole della catena occidentale, e dagli avversari un territorio di caccia e scorribande. Il povero Draghi sa quanto sia penoso assistere alle ridicole prestazioni pacifiste a senso unico di alcuni suoi partner di governo reduci recentemente da prestazioni filo russe e filo cinesi, ora goffamente, vista l’aria che tira, sono diventati per necessità gandhiani e figli dei fiori.

La crisi geopolitica, energetica, umanitaria ed economica, dev’essere considerata un tutt’uno dagli italiani che non vogliono rassegnarsi. Senza una idea coerente sul nostro destino e con una guida politica all’altezza della situazione, continueremo a rovinare i presupposti del nostro benessere futuro, i cardini per la nostra indipendenza, la nostra stessa idea di comunità liberal-democratica. Ecco, lo sforzo di aggregare realtà culturali e politiche in grado di cambiare molte facce del prisma italiano è una emergenza nazionale ed europea per assicurarci dignità e autonomia per i tempi futuri. La speranza perché ci siano leader coraggiosi e lungimiranti per superare l’attuale “italietta” dovrà incessantemente spingerci in avanti. Infatti va costruito un solido presupposto per sostenere da italiani il processo evolutivo europeo, quello della alleanza Atlantica, quella di riportare parte dell’opinione pubblica alla realtà e alla responsabilità.


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