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Francesco a Kiev? Per stare con la realtà degli uomini e parlare alle Chiese

Il pontefice a Malta sembra desiderare il momento in cui potrà esprimere la sua vicinanza non a idee, ma a persone, quelle che oggi troppi discorsi trascurano, con la speranza di imboccare una nuova strada. La riflessione di Riccardo Cristiano

Nelle sue prime ore a Malta, papa Francesco ha detto che la guerra si è preparata da molto tempo. Queste parole fanno pensare che dopo la fine della Guerra fredda una grande opportunità non è stata usata nel modo migliore. E forse anche le Chiese, divise o addirittura in urto tra loro nel turbinoso Grande Est del mondo non solo europeo, non sono state all’altezza.

Poco prima di dire così, partendo per Malta, Francesco ha affermato che l’ipotesi di un suo viaggio a Kiev è allo studio. Così questo viaggio maltese non può che essere letto anche pensando al viaggio che potrebbe seguire: anche rapidamente, forse. Ma per fare cosa? “Il Papa non fa passerelle”, ha detto più volte il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, commentando nei giorni trascorsi le voci su questo possibile viaggio a Kiev del Papa. In queste parole c’è un’indicazione precisa: un’ipotesi di viaggio non può essere letta in termini mondani, cioè titoloni sui giornali mondiali o buona eco locale. Davanti a un mondo attonito ma anche incapace di pensare un singolo atto che vada al di là dello schierarsi contro qualcosa o qualcuno, la prima preoccupazione del papa potrebbe essere quella di testimoniare: è possibile essere “per”. Quindi il suo sforzo vorrebbe essere quello di indicare vicinanza a chi soffre, a chi è senza casa, a chi ha lutti, disperazione, smarrimento come orizzonte di vita per l’oggi e il domani. Ma questo deve calarsi nella realtà, per cambiarla.

Allora colpiscono alcuni elementi.

Il primo è che proprio nei giorni che hanno preceduto la manifestazione da parte sua di questa possibilità di viaggio a Kiev, la parte russa, la Chiesa russa, ha confermato che a giugno lui e il Patriarca di Mosca potrebbero incontrarsi. È ben noto che si era già qui a dicembre scorso, prima dell’invasione dell’Ucraina. Dunque, nessun passo avanti: ma nella vita si può anche arretrare, e le critiche di Francesco all’invasione – espressamente citata come tale – non sono certo mancate anche se alcuni, un po’ formalisti, hanno detto che non ha mai detto da parte di chi. Come ce ne fosse bisogno. Non credo che Mosca eccepiscano su chi ha invaso. Piuttosto, il Patriarca di Mosca ha indicato nel modello occidentale, che vede secolarizzato ed edonista, uno dei motivi più importanti sottostanti al conflitto. Francesco ne ha parlato di questo modello ieri, riferendosi agli stili di vita e di pensiero occidentali, così: “Da ciò derivano grandi beni – penso ai valori della libertà e della democrazia –, ma anche rischi su cui occorre vigilare, perché la brama del progresso non porti a staccarsi dalle radici. Malta è un meraviglioso ‘laboratorio di sviluppo organico’, dove progredire non significa tagliare le radici con il passato in nome di una falsa prosperità dettata dal profitto, dai bisogni indotti dal consumismo, oltre che dal diritto di avere qualsiasi diritto. Per uno sviluppo sano, è importante custodire la memoria e tessere con rispetto l’armonia tra le generazioni, senza lasciarsi assorbire da omologazioni artificiali e da colonizzazioni ideologiche”. Qui c’è forse un tentativo di accostarsi a Kirill per aiutarlo a uscire da un’ottica di inconciliabilità: aiutare la sua idea a incontrarne altre, non a chiudersi in una torre eburnea.

Ma non c’è solo Mosca a esprimere rigore. Anche i vertici ortodossi della Chiesa ortodossa in Ucraina hanno parlato in termini durissimi, arrivando a parlare di Dio in termini altrettanto sorprendenti di quelli usati dal patriarca di Mosca. Che cosa ha cercato di dire loro Francesco? “Pensavamo che invasioni di altri Paesi, brutali combattimenti nelle strade e minacce atomiche fossero ricordi oscuri di un passato lontano. Ma il vento gelido della guerra, che porta solo morte, distruzione e odio, si è abbattuto con prepotenza sulla vita di tanti e sulle giornate di tutti. E mentre ancora una volta qualche potente, tristemente rinchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalisti, provoca e fomenta conflitti, la gente comune avverte il bisogno di costruire un futuro che, o sarà insieme, o non sarà. Ora, nella notte della guerra che è calata sull’umanità, per favore non facciamo svanire il sogno della pace”. Anche qui, Francesco non respinge al mittente il dolore lancinante delle Chiese ucraine, ma ricorda loro che la gente comune avverte il bisogno di costruire un futuro.

Francesco cerca dunque un’altra strada. Altrimenti dietro l’angolo c’è l’infantilismo dei leader: “Quanto ci serve una misura umana davanti all’aggressività infantile e distruttiva che ci minaccia, di fronte al rischio di una Guerra fredda allargata che può soffocare la vita di interi popoli e generazioni! Quell’infantilismo, purtroppo, non è sparito. Riemerge prepotentemente nelle seduzioni dell’autocrazia, nei nuovi imperialismi, nell’aggressività diffusa, nell’incapacità di gettare ponti e di partire dai più poveri. Oggi è tanto difficile pensare con la logica della pace. Ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che anche stavolta è stato alimentato negli anni”.

Sono infantili le seduzioni autocratiche, è infantile l’imperialismo. Messaggi rivolti a loro, ai protagonisti. Ma il terzo messaggio sembra proprio rivolto a noi, personalmente: è infantile l’aggressività diffusa. E questa aggressività ognuno può leggerla nelle proprie letture di questa terribile guerra. L’aggressività può essere anche verbale, o complottista.

Francesco sembra desiderare il momento in cui potrà esprimere la sua vicinanza non a idee, ma a persone, quelle che oggi troppi discorsi trascurano. E, ritengo, guardare negli occhi i suoi fratelli che guidano le altre Chiese mentre gli espone la sua visione del mondo: “La guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi. Ed è triste vedere come l’entusiasmo per la pace, sorto dopo la seconda guerra mondiale, si sia negli ultimi decenni affievolito, così come il cammino della comunità internazionale, con pochi potenti che vanno avanti per conto proprio, alla ricerca di spazi e zone d’influenza. E così non solo la pace, ma tante grandi questioni, come la lotta alla fame e alle disuguaglianze sono state di fatto derubricate dalle principali agende politiche”.

La guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti, dice Francesco. Forse le Chiese, se avessero cercato insieme un linguaggio davanti a tante guerre nel corso delle quali hanno benedetto gli eserciti, avrebbero aiutato l’umanità a non arrivare sin qui. Non è il momento di imboccare un’altra strada?


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