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Guerra in Ucraina e supremazia cinese in Centro-Asia. L’analisi di Carteny

Mentre durante i primi anni del nostro secolo Russia e Cina sembravano allineate in un “asse di convenienza” per contrastare l’influenza occidentale in Asia centrale, negli ultimi anni la Cina sembra guadagnare la supremazia regionale e aumentare la sua concorrenza nei confronti della Russia. L’analisi di Andrea Carteny, storico delle relazioni internazionali, studioso dei nazionalismi in Europa orientale e direttore del Cemas

Mantenere “la Nato fuori dall’Asia” è il senso della dichiarazione della Tass che definisce “inaccettabile” per Mosca qualsivoglia infrastruttura americana o nordatlantica nel Centro-Asia e nei Paesi limitrofi all’Afghanistan. Infatti qualche giorno fa, in occasione della terza conferenza ministeriale dei Paesi confinanti con lo Stato talebano, organizzata dal ministero degli esteri della Cina popolare nella città di Tunxi (provincia di Anhui), il ministro della Federazione Russia Sergey Lavrov, mentre Mosca accreditava il primo diplomatico del governo talebano come rappresentante del “nuovo” Afghanistan, definiva la ventennale presenza militare Nato legata al “fallimentare esperimento di imposizione di ricette e valori alieni”, cioè quelli occidentali alla società afgana. Un cambio di passo, per ridare a Mosca un ruolo anche in Afghanistan, dopo la ritirata dell’Armata Rossa alla fine del 1988, ma anche un modo per riconfermare la linea rossa da non oltrepassare. Un “warning” che vale per l’Ucraina sotto attacco così come per i Paesi considerati all’interno dell’area del cosiddetto “estero vicino”: nessuna ulteriore base americana né alcun membro Nato tra i Paesi del Centro-Asia, successori dell’Unione Sovietica.

In effetti Washington, pur cercando nuove sintonie con i Paesi dell’area dopo l’abbandono della base aerea di Manas in Kirghizistan (fondamentale dal 2001 per 13 anni come base di appoggio per l’intervento in Afghanistan), si trova ad agire di retroguardia, con limitate collaborazioni militari soprattutto per la cautela con cui questi Paesi ex-sovietici gestiscono i rapporti con gli Stati Uniti.

Il “Pivot” della Cina sul Centro-Asia

Al termine della due giorni ministeriale per il supporto e la cooperazione alla ricostruzione economica dell’Afghanistan coordinata dal ministro degli esteri Wang Yi, Pechino ha fatto il punto dei risultati del meeting. Tutti i Paesi riuniti dalla Cina, quali Russia, Iran, Pakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, si impegnano ad assistere il governo di Kabul in ogni ambito, dall’emergenza sanitaria data dalla pandemia di Covid-19 all’emergenza alimentare, alla costruzione delle infrastrutture e allo sviluppo economico, creando una sorta di area di protettorato sull’Afghanistan dopo il ritiro delle forze Nato avvenuto lo scorso anno. È la ridisposizione del Centro-Asia all’interno di un nuovo contesto, apertosi nel 2021 e che si consolida con la guerra in Ucraina, con la necessità di affrontare diversi scenari: la crescente rivalità tra Russia, Cina, Usa e Ue, con investimenti concorrenti e interessi per le risorse naturali della zona (petrolio, gas e metalli preziosi).

Anche con il disengagement occidentale da Kabul, gli Usa tentano di incoraggiare la connettività tra i Paesi dell’Asia centrale promuovendo investimenti, infrastrutture, commercio e connettività in tutta l’Asia, invocando ripetutamente una propria politica della “via della seta” per contrastare l’assertività di Pechino. Anche l’Ue promuove una strategia di connettività economica dell’Europa con le economie emergenti dell’Asia alternativa a quella cinese. La politica estera della Russia in Centro-Asia, invece, mira a promuovere la sicurezza e la cooperazione tecnico-militare, a facilitare progetti nel settore energetico e ad ampliare l’adesione all’Unione economica eurasiatica (Eaeu, oltre ai full member Kazakistan e Kirghizistan, con Tagikistan potenziale membro e Uzbekistan osservatore). Quindi strategia della Cina in questa regione guidata dalla necessità di garantire la stabilità interna nelle sue regioni occidentali, aumentando la propria influenza e quindi limitando quella di altre potenze con la promozione dei propri interessi economici e potenziare l’energia sicurezza.

Il “Grande Gioco” tra Mosca e Pechino

In qualche modo la prospettiva di un nuovo “grande gioco” sino-russo, premessa ad una prevedibile supremazia della Cina nell’area centro-asiatica, emergeva fin dal lancio della “nuova via della seta” cinese, il progetto della “Belt and Road Initiative” (Bri, anche “One Belt One Road”, Obor) che attraversa con un investimento e un impatto senza precedenti lo spazio centro-asiatico ex-sovietico. Attraverso tre direttrici verso ovest (il corridoio euro-asiatico attraverso Kazakhstan e Russia verso l’Europa orientale; quello centro-occidentale asiatico attraverso Kirghizistan, Kazakhstan, Turkmenistan, Uzbekistan e Iran verso l’Asia minore; quello sud-occidentale attraverso il Pakistan).

Mentre durante i primi anni del nostro secolo Russia e Cina sembravano allineate in un “asse di convenienza” per contrastare l’influenza occidentale in Asia centrale, negli ultimi anni la Cina sembra guadagnare la supremazia regionale e aumentare la sua concorrenza nei confronti della Russia. Il rapporto tra Mosca e Pechino è passato da una conveniente partnership sino-russa, giustificata dalla volontà comune di contrastare l’influenza regionale degli Stati Uniti dopo il 2001, a una significativa rivalità emersa dopo l’inaugurazione da parte della Cina della Bri e i suoi corridoi di interconnessione e sviluppo e il crescente ruolo cinese nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco).

L’invasione russa dell’Ucraina, con l’esigenza di Mosca di mantenere Pechino al proprio fianco, apre un nuovo spazio alla Cina in quest’area: sia come riferimento per i governi (spesso autoritari) dei Paesi della regione, sia come contraltare di fronte al rischio di ulteriori interventi militari nella regione ex-sovietica da parte delle truppe russe.

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