Se il leader volesse davvero conquistare per intero la fascia costiera ucraina, con una manovra a tenaglia da Transnistria e Crimea, avrebbe tre possibilità ma anche un problema: il dossier Odessa è complicato, e resta aperto. L’analisi del professor Luciano Bozzo (Università di Firenze)
A ogni nuova fase della guerra in Ucraina è oramai prassi che commentatori e analisti s’interroghino sulle “reali” intenzioni del Cremlino, dunque sulle sue successive mosse. Che cosa ha in mente Vladimir Putin?
A dire il vero gli obbiettivi iniziali della guerra erano abbastanza auto-evidenti, quando non esplicitati con chiarezza dal leader russo. Li enumerammo anche su Formiche.net, ancora prima dell’inizio del conflitto. Sin qui quelli politico-strategici sono stati falliti, sia a causa della grave sottovalutazione dell’avversario che dei limiti della macchina militare impiegata per raggiungerli. Nonostante la pressione militare su Kiev il governo ucraino non è infatti caduto, dunque nessuna “denazificazione”, e l’offensiva iniziale, lungi dal restituire alla Federazione un ruolo di primo piano in Europa e nel mondo, si è tradotta in una straordinaria perdita d’immagine. A parte l’apertura di Volodymyr Zelenski sulla rinuncia alla richiesta di adesione alla Nato, al Cremlino restano per ora parziali conquiste territoriali, pagate a caro prezzo e certamente inferiori al prevedibilmente atteso.
L’idea che Putin aveva e ha dell’Ucraina e del suo futuro fu ben sintetizzata in una carta geografica a vivaci colori, mostrata dalla televisione nazionale russa all’inizio del conflitto. Al centro essa mostrava l’unica “vera” Ucraina: un “nocciolo” giallo, senza alcuno sbocco al mare, circondato a Nord, Est e Sud da territori russi, rappresentati con un vivace color arancio. A oggi lo stesso Donbass non è tuttavia per intero in mani russe. Gli obbiettivi dell’offensiva sono stati giocoforza ridefiniti. Martedì scorso il ministro Lavrov, annunciando l’avvio della cosiddetta fase 2 della guerra, ha precisato che sin dall’inizio solo l’indipendenza del Donbass e il riconoscimento dell’annessione della Crimea, erano gli obbiettivi dell’operazione militare speciale.
Secondo quanto riportato venerdì dall’agenzia Interfax, il generale Rustan Minnekaev, parlando dei prossimi sviluppi dell’offensiva, ha però accennato a una direttrice (un “ponte”) verso la Transnistria: vero relitto d’Unione Sovietica alla deriva da decenni. Analoga affermazione è stata fatta dal presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenka. Tutte premesse che paiono aver poi trovato conferma, sabato, nell’attacco missilistico portato sul centro di Odessa, che ha posto fine a un periodo prolungato di quiete in città, e nei precedenti arrivi di truppe russe in Transnistria.
Putin intende davvero stabilire una piena contiguità tra i territori conquistati a Nord-Ovest della Crimea e la auto-proclamata repubblica autonoma, secondo quanto prefigurato dalla carta a vivaci colori di cui sopra? All’eventuale realizzazione di un simile progetto si frappone un ostacolo, e non da poco: Odessa. Prima dell’inizio della guerra la città, che ha un’estensione di 162 chilometri quadrati, contava circa un milione di abitanti. È dunque un poco più grande e popolosa di Torino ed è estesa più o meno quanto Mariupol, pur avendo più del doppio degli abitanti. Che tipo d’impegno militare sarebbe necessario per assicurarne la conquista? Il combattimento urbano è l’incubo di qualsiasi pianificatore e comandante militare. Gli esempi offerti in proposito dal lungo conflitto iracheno sono assai significativi. Nell’autunno 2004 fu combattuta la seconda battaglia di Falluja, che aveva meno della metà degli abitanti di Odessa, sebbene probabilmente circa tre quarti l’avessero abbandonata, ed era difesa da forse 5.000 insurgents. Per isolare prima e prendere poi il controllo della città furono impiegati 14/15.000 uomini, in gran parte statunitensi, perfettamente equipaggiati, sostenuti da una massiccia potenza di fuoco e totale copertura aerea, e occorsero due mesi di aspri combattimenti.
Altrettanto significativo è il caso della battaglia combattuta tra 2016 e 2017 a Mosul, città di poco più di un milione e mezzo di abitanti. Oltre 100.000 uomini, a guida e in maggioranza iracheni, ma sostenuti dalla potenza di fuoco americana e alleata, impiegarono nove mesi per vincere la resistenza di una decina di migliaia di combattenti dello Stato islamico, una metà dei quali giovanissimi e poco addestrati.
I russi, dopo due mesi di campagna militare molto costosa in termini di perdite umane e materiali, non hanno alcuna possibilità di prendere Odessa. Possono certamente demolirla, come hanno già fatto con altri centri urbani altrove. Dato il valore culturale, simbolico e affettivo che la città riveste sia per il popolo ucraino che per quello russo l’opzione non appare credibile.
Se perciò Putin volesse davvero conquistare per intero la fascia costiera ucraina, con una manovra a tenaglia da Transnistria e Crimea, tre opzioni sono possibili: assediare per mesi la città, ma con esito quantomeno incerto; presa la fascia costiera lasciare una sorta di “corridoio di Danzica” all’Ucraina, fino appunto ad Odessa; o infine proporre per la città uno status di porto franco internazionale, qualcosa di simile a quanto fu previsto per Trieste dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il dossier Odessa è complicato, e resta aperto.