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Nelle urne francesi Russia e Ue si giocano tutto

Per governare i cambiamenti bisogna anticiparli. Il voto francese e l’enorme posta in gioco europea: una vittoria di Le Pen riapre le porte a Putin, dovrebbe suonare un campanello d’allarme nella politica italiana. Il commento di Francesco Sisci

I risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi sono un avvertimento importante per l’Italia, paese cugino e attraversato storicamente da sentimenti politici simili.

Il candidato di destra Marine Le Pen andrà al secondo turno e, secondo i sondaggi, seppure non favorita, potrebbe persino vincere sul presidente uscente Emmanuel Macron. Una vittoria della Le Pen sarebbe un terremoto politico nel continente.

Lei è stata vicina alla Russia di Vladimir Putin, che ha invaso l’Ucraina e ora sta perdendo la guerra. Se diventasse presidente potrebbe cambiare alcuni equilibri nel conflitto e intorbidire tante acque. Quindi Putin probabilmente non cercherà la pace almeno fino al risultato del voto francese. Dopo si misurerà cogli esiti a Parigi forse più che coi difficili campi di battaglia intorno a Mariupol.

Inoltre se la Le Pen fosse sconfitta solo di misura sarebbe provata la forza di partiti populisti. Essi, a destra o sinistra, danno voce a una insoddisfazione popolare crescente in tanti paesi e sono attratti dal mito dell’uomo/donna forte. Il successo del candidato di sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon prova l’insoddisfazione popolare con Macron, al di là di un suo eventuale successo fra una settimana.

La dispersione del voto tra tanti candidati al primo turno e l’alta astensione prevista al secondo, dovrebbe portare a una vittoria di misura dell’uno o dell’altro. Quindi se vincesse Macron di poco, comincerebbe un secondo mandato male; mentre se vincesse la Le Pen di poco potrebbe essere un suo trionfo politico.

Se questo è vero in Francia, con un apparato statale più strutturato e forte, in Italia, con uno stato più debole, e altrettante questioni di scollamento sociale, i problemi sono forse da moltiplicare.

Le difficoltà economiche dopo il Covid e per le conseguenze della guerra imporrebbero in realtà ai partiti e al governo di prendere il toro del populismo per le corna, e non nascondersi dietro lo schermo di un governismo che si stacca dal dibattito politico.

Certo, rispetto alla Francia, l’Italia ha anche segnali positivi per gli impatti continentali. I due partiti “populisti” “filo putiniani”, M5s e Lega, appaiono, secondo i sondaggi, in crollo verticale e forse prossimi alla spaccatura; mentre il partito “populista” in ascesa è FdI che ha preso le distanze da Mosca.

Ma l’atmosfera in Italia è comunque estremamente volatile e instabile. L’incertezza andrà solo a moltiplicarsi nei prossimi mesi. Infatti, i combattimenti, più o meno aspri, potrebbe trascinarsi ancora per mesi. Alla fine si innescheranno altre due incognite più grandi – le incertezze sulla sorte di Putin e della sua Russia, e le frizioni internazionali sulla Cina.

Tali questioni sono ben più gravi della pur scottantissima guerra in Ucraina, porterebbero costi alti all’interno di ogni paese, e in particolare della fragilissima Italia. Il Paese avrebbe quindi bisogno di trovare maggiore stabilità possibile per affrontare queste prospettive. Ciò negli stati moderni si ottiene con elezioni che sintonizzano i sentimenti del paese con la sua rappresentanza parlamentare. Questo parlamento, scelto prima del Covid e della guerra, sembra invece parlare per un mondo antico che non c’è più.

Ora la scadenza naturale per il voto è marzo. Ma con l’autunno, in questa situazione internazionale, potrebbe accadere ogni cosa, compreso un ritorno di fiamma del Covid e una nuova difficile campagna vaccinale.

Occorrerebbe allora forse pensare a elezioni prima che si apra la porta del caos, quindi dopo l’estate. E forse bisogna parlare della possibilità di andare al voto prima di vedere il risultato del secondo turno delle presidenziali francesi, per limitarne il condizionamento negativo.

Il timore però è che il dibattito tra i partiti in Italia resti soffocato dalle minime diatribe interne incapaci di sollevarsi in un orizzonte che vada troppo al di là. Invece per governare i cambiamenti, specie quelli più radicali, bisogna anticiparli.

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