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Tra agricoltura e società (europea) il patto scricchiola

Di Felice Adinolfi

La valenza strategica dell’agricoltura è cresciuta nel tempo e oltre alla sicurezza degli approvvigionamenti i cittadini europei si aspettano di ricevere dai sistemi agroalimentari una serie di altri servizi ormai considerati indispensabili. Ma l’importanza di questo patto tra agricoltura e società non sembra essere chiara a tutti, o perlomeno sembra in parte sacrificabile in questo scenario di guerra. Il commento di Felice Adinolfi, professore di Economia agraria ed estimo presso l’Università di Bologna e direttore del Centro studi Divulga

La guerra ha fatto tornare, anche in Europa, lo spettro dell’insicurezza alimentare. Attorno a questa preoccupazione era stato costruito nel 1957 il cemento che ha tenuto insieme il Vecchio continente al momento della sua nascita e negli anni seguenti. All’articolo 39 del Trattato di Roma (oggi articolo 33) troviamo infatti scolpito l’obiettivo di garantire adeguati approvvigionamenti alimentari ai cittadini dell’allora Comunità economica europea (Cee) attraverso il sostegno agli agricoltori del continente.

Il progressivo allargamento dell’Europa e l’idea di una pace duratura hanno cambiato il volto dell’intervento per l’agricoltura. Meno protezionismo e sostegni più funzionali ad altri scopi, come quelli ambientali e sociali. Così oggi la Politica agricola comune (Pac) tiene insieme diversi obiettivi e per questo, in Europa, abbiamo coniato il termine multifunzionalità. Con esso intendiamo che l’agricoltura non assolve solo al compito di produrre cibo, ma anche ad altri scopi che risultano vitali per i cittadini e i territori dei Paesi membri.

Funzioni che vanno dalla qualità del cibo al benessere degli animali, passando per la sostenibilità ambientale e la coesione sociale dei territori rurali. In realtà si tratta di un vero e proprio tassello del sistema di welfare europeo che consente all’Europa di essere il posto più sicuro in cui consumare cibo e il più sostenibile, tra i Paesi sviluppati, in cui produrlo. Un tassello di cui i cittadini europei riconoscono il valore, come dimostrato dal crescente consenso pubblico verso il supporto destinato agli agricoltori e ai territori rurali dell’Unione europea.

Questo significa che la valenza strategica dell’agricoltura è cresciuta nel tempo e oltre alla sicurezza degli approvvigionamenti i cittadini europei si aspettano di ricevere dai sistemi agroalimentari una serie di altri servizi ormai considerati indispensabili. Ma l’importanza di questo patto tra agricoltura e società non sembra essere chiara a tutti, o perlomeno sembra in parte sacrificabile in questo scenario di guerra.

Alcuni Paesi, come la Spagna che ha recentemente innalzato i livelli ammissibili di residui chimici associati ai prodotti agricoli importati e alcune rappresentanze agricole, chiedono di allentare le maglie di questo sistema di garanzie. Le conseguenze possono essere però molto pericolose. Da un lato questo potrebbe aumentare i rischi per la salute e dall’altro, paradossalmente, potrebbe portare a una maggiore esposizione dei nostri cittadini al rischio di insicurezza alimentare.

Se con il Green deal ci diamo obiettivi severi per la riduzione della chimica in agricoltura e nel frattempo importiamo senza regole rischiamo di diventare il giardino del mondo. Un giardino dove si produce poco, perché risulta più conveniente comprare dall’estero. Un giardino che inquina, perché inevitabilmente esporteremmo inquinamento e lo concentreremmo nei luoghi più poveri e ricchi di risorse naturali del mondo, per poi reimportarlo nelle nostre tavole.

Faremmo così enormi passi indietro tanto nella sfida di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, tanto nell’ambizione di essere il punto di riferimento globale per la sostenibilità. Il paper recentemente pubblicato dal centro studi Divulga, dal titolo “Green bill: il rischio di una corsa solitaria dell’Ue alla transizione ecologica in agricoltura” restituisce numeri e fatti che evidenziano, con chiarezza, come un ulteriore allargamento della forbice tra gli standard europei e quelli dei Paesi dai quali importiamo prodotti agricoli, possa avere come primo effetto la riduzione della produzione interna e l’innalzamento dei prezzi dei prodotti alimentari.

Ma non solo, se pensiamo di garantire la nostra sicurezza alimentare a spese della foresta amazzonica o di altri polmoni del globo non abbiamo capito che oltre all’emergenza di oggi, la guerra, dovremo pensare a quella di domani, il cambiamento climatico.


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