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Sui balneari basta guardare al modello spagnolo

Si tratta di un modello esattamente alternativo al nostro in cui i servizi sono erogati dal settore pubblico, le concessioni sono di durata breve e limitate e non esiste appunto l’occupazione privatistica delle spiagge. Il commento di Luigi Tivelli

Il Parlamento, i partiti e per molti versi anche i governi non hanno mai amato la concorrenza. Lo dimostra tra l’altro il fatto che dopo l’istituzione di una legge annuale per la concorrenza nel 2009 ne è stata varata con molta fatica e conclusa col governo Gentiloni solo una, giunta ancora più sfibrata di quanto non fosse nel disegno di legge originario. Il tema è all’attenzione di tutti in questi giorni in relazione al problema delle concessioni delle spiagge. Ma vedremo nell’iter della nuova legge annuale recuperata da Mario Draghi e collegata al Pnrr (con l’impegno a produrre una legge sulla concorrenza per tutti gli anni di vigenza del Pnrr) cosa avverrà anche per altri aspetti su cui incidono lobbies e corporazioni, quali ad esempio le licenze dei taxi, i servizi pubblici locali, toccati in modo tutto sommato limitato dal disegno di legge in corso di esame in Parlamento.

Vale la pena soffermarsi con un’altra angolazione sul caso delle concessioni per le spiagge. Un caso che per certi versi rappresenta quella che Ernesto Rossi chiamava la “pubblicizzazione delle perdite e la privatizzazione degli utili”. Come definire un settore che produce più di 11 miliardi annui di reddito paga per le concessioni demaniali più o meno 118 milioni. E questo perché il modello adottato in Italia è stato quello dell’occupazione privatistica delle spiagge tramite uno scambio perverso con i pubblici poteri per cui le concessioni sono sin qui state quasi eterne e a bassissimi prezzi.

Certamente, tra i balneari ci sono anche soggetti imprenditoriali significativi, imprese famigliari efficienti, ma questo è avvenuto grazie alla sostanziale privatizzazione del demanio pubblico e di fatto senza entroiti da parte dello Stato. Vale la pena evidenziare – anche se alla luce delle condizioni in essere non potrebbe essere mutuato dall’Italia – il caso di un altro Paese che attrae anche dall’estero molto più turismo balneare dell’Italia, la Spagna. Un’attrazione che avviene soprattutto grazie ai “rubinetti lavapiedi”. In Spagna, infatti, come molti sanno, non possono esistere, neanche ad opera dei più grandi alberghi, spiagge private. In tutte le più attraenti zone turistiche ci sono al limitare delle spiagge dei lavapiedi, delle docce e delle toilette efficienti. Ho potuto riscontrare di persona alle isole Canarie come queste piccole strutture funzionino anche accanto ai migliori alberghi. In media i costi per lettino e ombrellone sono di 4 euro l’uno. Il gestore delle piccole concessioni spagnole ha a disposizione solo un certo numero di lettini e di ombrelloni per aver partecipato ad una gara e la concessione è al massimo biennale o triennale. Chi ne beneficia di più sono i cittadini – clienti che pagano prezzi molto più bassi che in Italia e trovano tutti i servizi accanto alla spiaggia. Gli efficienti lavapiedi, le ottime docce e le toilettes. Guarda caso, soprattutto negli ultimi anni, l’attrazione turistico-balneare spagnola è più forte di quella italiana. Si tratta di un modello esattamente alternativo al nostro in cui i servizi sono erogati dal settore pubblico, le concessioni sono di durata breve e limitate e non esiste appunto l’occupazione privatistica delle spiagge.

Un modello, come già accennato (salvo alcune zone di spiaggia libera) difficile da importare in un Paese in cui c’è stata la privatizzazione selvaggia delle spiagge praticamente senza alcun beneficio per l’erario, ma di cui va tenuto conto nell’evidenziare l’utilità del ricorso a forme di liberalizzazione, a concessioni di durata breve, vere e proprie gare, ed in definitiva ad un turismo balneare più funzionale interclassista e che finisce per offrire a prezzi significativamente più bassi i servizi opportuni per chi pratica l’attività balneare.

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