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Il change management inizia dall’alto. Anche nella Pa

Spesso si preferisce imputare ai burocrati, di grado più o meno elevato, le colpe dei vertici. Ma il “change management” inizia dall’alto. Per invertire il canone bisogna che si cominci da chi guida. Il caso di Roma letto da Antonio Mastrapasqua

Durante il mio mandato nel consiglio di amministrazione dell’Inps, prima che fossi nominato presidente, mi incontrai ovviamente più volte con tutti i ministri del Lavoro che si succedettero, dal 2004 in poi. Nel 2006 fu il turno di Paolo Ferrero, anticonformista, esibiva l’orecchino, partecipando a una moda che si è fatta poi, molto trasversale. Ricordo che, come d’incanto, anche un dirigente del ministero, da un giorno all’altro, sposò l’idea del piccolo monile. Salvo poi toglierlo, qualche anno dopo, quando – strana coincidenza – il nuovo inquilino di via Veneto aveva assunto nuove abitudini di abbigliamento e corredo.

Non è questione di piaggeria, credo, ma di inevitabile tendenza all’imitazione, quasi sempre rivolta a chi si stima o a chi comanda. Questo vale anche per il coraggio e la determinazione delle scelte amministrative. Spesso si preferisce imputare ai burocrati, di grado più o meno elevato, le colpe dei vertici. Ma il “change management” inizia dall’alto. Per invertire il canone bisogna che si cominci da chi guida. Prendiamo il caso della decisione annunciata dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, a proposito del termovalorizzatore. Farlo o non farlo ormai dipenderà dalla forza con cui il primo cittadino saprà difendere la sua opportuna intuizione dalle sirene dei frenatori. Anche dal suo partito – soprattutto? – sono cominciate a risuonare le solite parole, in testa a tutte: dibattito. Apriamo un dibattito? Ma perché? Non ce n’è bisogno; amministrare vuol dire decidere e farsi giudicare sulle decisioni prese.

Ascoltare i cittadini sempre, ma non per precostituire alibi all’inazione. La gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani richiede visione e decisione, come accade nelle principali capitali europee. Gualtieri merita il plauso per aver lanciato il cuore oltre l’ostacolo, ora bisogna che segua tutto il corpo. Tutto il corpo suo, del suo partito e della sua maggioranza. Il corpo dell’amministrazione seguirà inevitabilmente se non si mostreranno tentennamenti.

È motivo di tristezza per chi Roma la abita e la ama, leggere di disavventure amministrative che gettano discredito sulla burocrazia capitolina e di conseguenza sul suo vertice politico. Come si fa a indire un concorso pubblico per oltre 1500 posti a tempo indeterminato nell’organigramma del Campidoglio predisponendo domande senza risposte valide? In particolare, a una domanda sarebbero state corrette due delle risposte a crocette, mentre una seconda non avrebbe avuto nessuna risposta valida, e non c’è dubbio che nei test a risposta multipla per tutta la giurisprudenza in merito ci deve essere una e soltanto una risposta esatta in modo univoco: non è contemplato che più di una delle risposte o nessuna siano esatte.

La notizia fa il paio con quella che annuncia il rinvio a ottobre per l’appalto finalizzato alla chiusura delle buche di Roma, per un errore burocratico. Sempre colpa della burocrazia, finché la politica, cioè il vertice amministrativo, non fa sentire la sua presenza continua di indirizzo e controllo. Senza controllo l’indirizzo vale poco o nulla. E la sensazione è che nessuno controlli nessuno. Né nella riscossione degli affitti, né nella gestione delle infrastrutture: vogliamo parlare dello scandalo della ferrovia Roma-Lido, sottratta alla privatizzazione per farla languire nello stato di degrado che ogni romano (o malcapitato turista) conosce bene quando vuole andare al mare senza usare la sua automobile.

In questa condizione di vertici incerti e distratti – speriamo che il termovalorizzatore sia il segnale di una inversione di rotta, benedetta – non stupisce abbastanza la solita supplenza annunciata o minacciata dalla magistratura. L’ultimo episodio è curioso e stupefacente allo stesso tempo. La Procura di Roma dà un ultimatum all’Atac. La ragione è sacrosanta, il metodo curioso. È certamente inaccettabile che gli autobus si incendino con la frequenza con cui si trasformano in roghi a Roma. Ma le indagini penali sulle colpe si possono annunciare? Se l’Atac vuole evitare il processo, dovrà mettere in sicurezza bus e depositi in un lasso di tempo compreso tra i 30 e 120 giorni. Scaduto l’ultimatum della Procura, e difficilmente verranno date ulteriori proroghe, i pubblici ministeri daranno il via all’iniziativa penale che andrà a individuare le responsabilità dei vari singoli, e provvederà a eventuali sequestri di vetture e infrastrutture.


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