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Addio computer americani. La scure di Xi Jinping

La nascita di una ciber-potenza. Dispacci dal metaverso cinese

Il governo cinese ha deciso di sostituire 50 milioni di computer occidentali (per lo più americani) dagli uffici pubblici con pc cinesi, svela Bloomberg. Un’accelerazione della guerra fredda tech con gli Stati Uniti alla ricerca di un decoupling tecnologico difficile da realizzare

La Cina va alla guerra dei pc. Cinquanta milioni di computer occidentali usati negli uffici pubblici cinesi saranno cestinati entro due anni. A dare notizia del maxi-repulisti del governo cinese è un retroscena di Bloomberg. Si tratta della più grande operazione di rimpiazzo di tecnologia occidentale ufficialmente disposta da Pechino.

Un’accelerazione significativa del decoupling tecnologico con gli Stati Uniti, segno di un’escalation che prosegue dietro le quinte della crisi europea con la Russia. La direttiva, arrivata sulle scrivanie dei dipendenti della Pubblica amministrazione dopo la pausa della Festa del lavoro di cinque giorni, proverrebbe dal ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’informazione e dal Consiglio di Stato per l’informazione.

Agli staff è stato chiesto di acquistare computer di aziende nazionali, come Lenovo, e di mettere da parte i dispositivi occidentali. Una mossa che può avere un duro impatto sui principali produttori di laptop presenti nella Pa cinese, a partire dalle americane Dell e HP. Nel mirino però ci sono anche i software occidentali più diffusi, come Microsoft e Adobe, destinati secondo Bloomberg a lasciare il posto ad aziende cinesi come Kingsoft e Standard Software.

La decisione del governo centrale rientra in uno sforzo, avviato da diversi anni, per autarchizzare la tecnologia utilizzata dal settore pubblico. Ma è soprattutto una rappresaglia contro gli Stati Uniti, che da tempo hanno messo al bando l’equipaggiamento cinese da tutte le agenzie federali. Un decreto dell’amministrazione Trump dell’agosto del 2020 ha ordinato la rimozione dagli uffici pubblici della tecnologia di aziende cinesi come Huawei e Zte, accusate di spionaggio dall’intelligence americana.

A dispetto della linea ufficiale – solo lo scorso novembre il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian garantiva che la Cina non aveva “piani per sostituire la tecnologia straniera” – l’isolamento tech di Pechino è proseguito senza battute d’arresto.

Con gli anni si è istituzionalizzato. Nel 2016 la Città Proibita ha messo in piedi un comitato di esperti, il Comitato di lavoro per l’innovazione e l’applicazione della tecnologia informativa, per definire standard di sicurezza e affidabilità dei fornitori di tecnologia alla pubblica amministrazione e all’industria cinese. L’organismo, che ufficialmente non è parte del governo cinese, ha il compito di disporre una white list di aziende considerate affidabili.

Il bando contro i computer occidentali, spiega Bloomberg, si potrebbe estendere presto alle amministrazioni provinciali. Per il momento non toccherà la parte di hardware più difficile da sostituire, come i microprocessori, una tecnologia che vede il governo cinese impegnato in una difficile e per ora non fruttuosa ricerca di vie alternative alle aziende occidentali e del sud-est asiatico.



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