Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte per il centrodestra e per il centrosinistra sono personaggi decisivi, nel senso che risultano possessori della Golden share che consentirebbe a ciascuno dei contenitori politici di prevalere sull’avversario. Certo, bisognerà vedere i risultati elettorali…
Qualche giorno fa su queste colonne abbiamo provato a decifrare i possibili scenari di scomposizione e ricomposizione dei contenitori di centrodestra e centrosinistra, entrambi ormai obsoleti e non più capaci di rappresentare offerte politiche valide ai fini della governabilità. L’abbiamo fatto usando l’ironia, perché in questi casi si scade assai facilmente nella fantapolitica e bisogna saper dosare il senso di realtà con il sufficiente quantitativo di senso della misura. Per cui “bello forse, impossibile assai di più” c’era parso giusto definire da un lato l’eventuale allineamento Berlusconi-Conte-Salvini e dall’altro l’onirico raccordo tra Pd e FdI abbracciati nel vincolo dell’atlantismo.
Poi è successo che assai più seriamente la questione sia stata affrontata dal Corriere della Sera, che in due editoriali a firma di Paolo Mieli e Angelo Panebianco hanno dato corpo a quelle eventualità, elencandone a loro avviso sia i pregi che i difetti.
Ma allora parliamo di fumisteria fantapolitica o di concreta possibilità in gioco? Ognuno la pensa come vuole e chi scrive preferisce continuare a mantenere una sufficiente distanza da formule politiche che nate per superare le divaricazioni esistenti in quelle attuali rischierebbero di produrne altre ancora più divaricanti, rendendo la governabilità – bene essenziale soprattutto in questa fase – poco più che una chimera.
Tuttavia, al tempo stesso, l’attenzione di così autorevoli analisti conferma che il tema, ancorché allo stato in forma di vagheggiamento, esiste e qualcuno su come portarlo con i piedi per terra, ci sta ragionando. Analizzando più in profondità, quel che appare è la centralità di due figure che nella situazione attuale diciamo non vivono un momento di grande spolvero. Si tratta di Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte. Per il centrodestra e per il centrosinistra sono personaggi decisivi, nel senso che risultano possessori della Golden share che consentirebbe a ciascuno dei contenitori politici di prevalere sull’avversario. Certo, bisognerà vedere i risultati elettorali e valutare i concreti rapporti di forza, ma allo stato attuale è giustificato dire che senza il Cav, il centrodestra è una formidabile macchina acchiappavoti ma gli manca il tesoretto decisivo per vincere. Mentre per il centrosinistra, senza Conte il Campo Largo di Letta si riduce ad un perimetro assai lontano dalla maggioranza necessaria per governare. Ne risulta che le mosse e i posizionamenti dell’uno o dell’altro sono fondamentali.
Però lo sono appunto dentro i rispettivi schieramenti: ma fuori? Fuori c’è il campo dell’imperscrutabile, eccitante nei ragionamenti sotto gli ombrelloni ma privo di sostanza. Ovviamente il punto centrale è la legge elettorale. Se rimane quella attuale, non c’è possibilità di scampo dalle riproposizione dell’offerta politica agli elettori sulla base delle coalizioni esistenti. Con tutti i problemi che conosciamo. Se invece cambia, per esempio in senso proporzionale, sarà necessario capire in che modo agirà per esempio sulla soglia di sbarramento o sulla larghezza dei collegi considerando che il prossimo Parlamento consisterà in 600 e non più in 915 eletti, con le ricadute del caso.
Però, però… Sicuro che il meccanismo elettorale sia così importante? Già in questa legislatura ci sono state “fughe” subito dopo il voto, con partiti che sono andati ad allearsi con avversari contrastati in campagna elettorale: vedi primo governo Conte con intesa M5S-Lega.
Non è inverosimile ritenere che indipendentemente da maggioritario o proporzionale e proprio a causa della fragilità delle forze politiche, anche nel 2023 andrà così. E cioè che le intese ai fini della formazione di un governo che qualcuno perfino vaticina ancora guidato da Mario Draghi – e pure in questo caso siamo, per intenderci, ai confini della realtà – si faranno ad urne chiuse, in Parlamento. Nulla di male, tutto costituzionalmente e formalmente corretto. Sarebbe solo il caso di anticiparlo ai cittadini, con uno sforzo di verità per non farli votare su ipotesi e proposte fin dall’inizio impraticabili. E poi magari piangersi addosso per la progressiva e apparentemente inarrestabile disaffezione che porta alla fuga dalle urne.