Skip to main content

Da Davos lo sguardo sul nuovo ordine mondiale

Il nuovo ordine mondiale che si deduce dai tanti interventi va nel senso della contrapposizione tra il blocco occidentale e la Russia, con la Cina in posizione defilata. Nessuno ha azzardato configurare lo scenario di uscita dalla guerra in Ucraina, ma vi è la sensazione che le relazioni internazionali hanno superato un punto di svolta per andare verso un nuovo assetto. L’analisi di Salvatore Zecchini

Dopo due anni di sospensione a causa della pandemia è ripresa in questi giorni a Davos la consuetudine dell’incontro annuale di personalità del mondo economico-finanziario e di quello politico, organizzato dal World Economic Forum. Quest’anno l’atmosfera non appariva così glaciale come nel passato per via della calendarizzazione dell’evento a febbraio nel mezzo dei rigori dell’inverno alpino. Pur nella mitezza del clima primaverile, in una cornice di verde rigoglioso e compatto, non sono mancati accenti preoccupati sull’evolvere della situazione economica, che è apparsa fortemente condizionata dagli sviluppi politici delle tensioni tra grandi potenze. Tra i molti temi dibattuti quelli centrali, che hanno improntato gran parte degli interventi, hanno riguardato le prospettive di recessione economica in America ed Europa, l’impatto della lotta all’alta inflazione corrente, le politiche energetiche, la carenza di forniture di prodotti alimentari di base, e il contributo del progresso tecnologico al superamento delle attuali difficoltà. Della pandemia da Covid e dei suoi strascichi, invece, non è rimasta traccia nelle discussioni, come se fosse un evento superato senza conseguenze.

Sull’economia americana è giudizio condiviso che il contrasto alle tensioni inflazionistiche ha assunto priorità sulla crescita e che il rialzo dei tassi d’interesse continuerà con rapidità fin quando la dinamica dei prezzi interni non mostrerà di rientrare su livelli tali da rassicurare sul non radicamento di aspettative inflazionistiche tra gli operatori economici. La conseguenza sarà un inevitabile ripiegamento della crescita, ma sul se si verificherà una recessione le opinioni differiscono. Per alcuni questa sarà inevitabile, in quanto nonostante l’ascesa dei salari l’elevata inflazione sta erodendo il potere d’acquisto dei consumatori. Molte grandi imprese ormai si attendono un afflosciarsi della domanda, un calo degli utili e un ridimensionamento dei progetti d’investimento. Altri commentatori mettono in discussione l’assunto di un consumatore che spende meno; invece, si attendono soltanto un rallentamento della crescita dovuto oltre che alla restrizione monetaria, alle non ancora superate difficoltà di approvvigionamento dopo lo sconvolgimento delle catene di fornitura, e ai rincari di energia, materie prime ed alimentari.

L’eco delle attese di una recessione si è già avvertita sui mercati azionari, con notevoli cadute degli indici di borsa, specialmente del Nasdaq, grande instabilità in gran parte dei mercati finanziari e spinte recessive sulla congiuntura. In questi sviluppi taluni intravedono una replica dello scoppio della bolla dei titoli tecnologici nel 1999 con il suo seguito, ma giustamente altri sottolineano che a differenza di quegli anni oggi le grandi compagnie del Nasdaq presentano bilanci solidi, grandi programmi d’investimento e considerevoli programmi di ricerca ed innovazione.

Se si guarda d’altronde alla reazione dell’economia americana dopo i due shock del 2009 e del 2020, è più probabile che possa evitare una recessione, ma subirà un forte rallentamento. Molto dipenderà dal livello a cui la Fed porterà i tassi d’interesse per raffreddare la domanda. In questo quadro, dal lato dell’offerta la rottura di consolidate filiere del valore ha un suo peso, perché riconfigurarle richiede tempo, comporta costi maggiori e alcuni fornitori esteri non sono rimpiazzabili per anni. I rischi della globalizzazione per la sicurezza dell’occidente e la difesa dei suoi valori sono stati, invece, messi in risalto dal Segretario Generale della Nato. Ma il reshoring sarà un fenomeno limitato ad alcune produzioni strategiche per la sicurezza nazionale, e non una nota dominante tale suffragare la visione di alcuni intervenuti di una deglobalizzazione in corso. Contro quest’ultima tesi J. O’Neil, ex presidente di Goldman Sachs, ha avanzato anche un argomento finanziario: fin quando gli USA e altri Paesi avranno bisogno del risparmio estero per crescere e troveranno conveniente investire in Asia e altri Paesi la globalizzazione continuerà. Naturalmente continuerà, come sostenuto in un recente articolo dallo scrivente, secondo schemi diversi dal passato per tener conto del nearshoring volto a ridurre l’insicurezza nelle lunghe catene di fornitura e per effetto delle sanzioni contro i Paesi nemici dell’Ucraina.

Nell’evoluzione della globalizzazione si avvertiranno gli effetti del recente accordo internazionale sull’armonizzazione della tassazione minima dei redditi delle imprese e sul prelievo fiscale per le grandi multinazionali dei servizi. Il numero uno dell’Oecd ha espresso fiducia che entro l’anno si scioglieranno i rimanenti nodi tecnici attraverso discussioni in sede Oecd e che si potrà applicare il nuovo accordo nel 2024. Ma altri intervenuti hanno manifestato dubbi perché sul primo pilastro dell’accordo (la tassazione minima) il Congresso americano e alcuni Paesi non sono favorevoli, mentre è possibile che venga applicato il prelievo sulle grandi multinazionali sulla base del luogo di produzione del reddito.

In Europa le prospettive di crescita appaiono più incerte di quelle americane per effetto della vicinanza alla guerra nell’Est europeo, le conseguenti sanzioni economiche, la dipendenza energetica dalla Russia e l’atteso rialzo dei tassi d’interesse guida, con i riflessi su bilanci pubblici già in tensione. Commissione Europea e BCE hanno cercato di placare le aspettative di una recessione accompagnata da elevata inflazione. La Lagarde ha insistito sulla gradualità nel rialzo dei tassi e Gentiloni ha escluso che si debba ricorrere a restrizioni nelle politiche di bilancio, ma ha raccomandato grande cautela nelle politiche di spesa pubblica e un forte impegno ad attuare il Pnrr e le riforme. Altri intervenuti non appaiono dello stesso avviso di fronte a una dinamica dei prezzi troppo alta, a tensioni sui mercati delle commodities e dell’energia, e a un perdurante eccesso di domanda, che va riportata in linea con le limitazioni dell’offerta dovute a fattori su scala mondiale.

La presidentessa della Commissione Ue ha enfatizzato la dimensione geopolitica della crisi in Europa, con un duro discorso sulle responsabilità della Russia e sul nuovo atteggiamento dell’Europa. A suo dire, la Russia dovrà “soffrire” per il fallimento strategico delle sue azioni aggressive e sarà chiamata a contribuire all’opera di ricostruzione dell’Ucraina, anche attraverso l’impiego dei beni sequestrati ai russi dopo l’invasione. L’embargo verso i prodotti energetici russi sarà rafforzato, mentre la diversificazione delle fonti energetiche e la transizione verde dovranno proseguire insieme all’attuazione del PNRR. Verso la Cina, invece, va tenuto un atteggiamento cauto, perché pur essendo un temile concorrente sui mercati, mostra una convergenza di interessi con gli europei, ad esempio nella lotta al cambiamento climatico.

I temi dell’energia e dell’indipendenza dalle forniture russe e da fonti fossili hanno suscitato molti interventi nella prospettiva di diversificazione dei Paesi d’importazione e della sicurezza energetica in condizioni di compatibilità con la transizione verde. In Europa vi sono importanti differenze nella vulnerabilità energetica dei Paesi, vulnerabilità difficili da superare nel breve periodo per la segmentazione dei mercati e delle infrastrutture lungo le frontiere nazionali. Per un approccio europeo al problema è indispensabile investire nelle infrastrutture di connessione delle reti elettriche, gasdotti e oleodotti con quelle di altri Paesi partner, in modo da costituire una rete integrata, che permetta di gestire al meglio le criticità che possono emergere a livello nazionale.

La proposta di porre un tetto al prezzo del gas all’ingrosso non ha riscosso generale consenso. Il premier spagnolo, Sanchez, l’ha sostenuta come strumento temporaneo per contrastare gli eccessi del mercato, che rischiano di penalizzare la produzione e i consumi, oltre a colpire particolarmente i meno abbienti. Altri, in specie i rappresentanti di imprese energetiche, sono d’avviso contrario, appellandosi al ruolo del mercato come riequilibratore tra domanda ed offerta. In realtà, questa misura tende a deviare le correnti di rifornimento dai Paesi che l’applicano, ritarda l’aggiustamento dei soggetti economici al nuovo assetto dei prezzi relativi, determina penuria negli approvvigionamenti, impatta negativamente sugli investimenti e riduce l’incentivo alla decarbonizzazione. Gli stessi obiettivi dei governi nell’imporre un tetto possono essere raggiunti con altri strumenti, quali gli incentivi agli investimenti green, la modulazione della tassazione, che rappresenta una notevole componente del prezzo finale, a seconda delle tensioni sui mercati, il potenziamento delle reti infrastrutturali e l’applicazione di standard di efficienza energetica nelle produzioni in generale, incluse quelle energivore.

I picchi raggiunti dalle quotazioni delle materie prime e di quelle energetiche, il blocco delle esportazioni ucraine di derrate dai suoi porti, le sanzioni alla Russia e le restrizioni all’export decise da grandi Paesi esportatori di derrate rischiano di determinare una crisi alimentare in vaste aree del mondo. I pochi rappresentanti di organizzazioni umanitarie presenti a Davos hanno chiesto iniziative per scongiurare una carestia in diversi Paesi africani, una richiesta a cui ha risposto la von Der Leyen, annunciando che sono in corso discussioni per lo sblocco dei porti ucraini e la messa in opera di mezzi alternativi di trasporto.

Sul problema scottante della cooperazione tra Paesi in tempi di crisi non si è visto gran che a Davos. Il nuovo ordine mondiale che si deduce dai tanti interventi va nel senso della contrapposizione tra il blocco occidentale e la Russia, con la Cina in posizione defilata. Nessuno ha azzardato configurare lo scenario di uscita dalla guerra in Ucraina, ma vi è la sensazione che le relazioni internazionali hanno superato un punto di svolta per andare verso un nuovo assetto. Da un lato, si andrebbe verso il contenimento reciproco delle grandi potenze, e dall’altro lato, verso il ricompattamento dei Paesi meno potenti attorno ad alleanze per la tutela reciproca contro potenziali aggressori. Un ritorno alla guerra fredda del secolo scorso non sembra più attuale, ma l’isolamento economico-finanziario della Russia e dei suoi alleati probabilmente durerà a lungo ed influirà sulla futura configurazione dell’economia mondiale. Ormai è tempo che gli italiani se ne convincano e ne traggano le conseguenze.



×

Iscriviti alla newsletter