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Droni, satelliti e guerra cibernetica. L’Esercito italiano secondo il gen. Serino

Le guerre di oggi si combattono con gli stessi principi validi nel passato, ma a fare la differenza saranno le nuove tecnologie, che porteranno le Forze armate, e in particolare la componente terrestre, a sviluppare nuove procedure e capacità per affrontare gli scenari futuri. Cosa si è detto all’evento organizzato dall’Esercito in collaborazione con le riviste Formiche e Airpress, che ha anticipato i festeggiamenti per i 161 anni della Forza armata. Presenti il capo di Stato maggiore, Pietro Serino, Salvatore Farina, Alessandro Profumo, Lorenzo Mariani, Andrea Margelletti, Arturo Varvelli e Alessandro Marrone

La guerra in Ucraina ha visto schierati sul campo assetti tradizionali e innovativi. Insieme a carri armati, artiglieria e fanteria meccanizzata sono stati impiegati droni all’avanguardia, missili spalleggiabili, satelliti e l’uso massiccio della guerra cibernetica. “Le guerre del passato, del presente e del futuro si combattono applicando principi antichi, ma utilizzando procedure innovative”, ha detto il capo di Stato maggiore dell’Esercito, Pietro Serino, intervenendo all’evento organizzato dalla sua Forza armata in collaborazione con le riviste Formiche e Airpress e la moderazione di Flavia Giacobbe, presso la Biblioteca Militare Centrale, a Roma. L’incontro è stato anche l’occasione per lanciare le celebrazioni del 161esimo anniversario dalla costituzione dell’Esercito italiano, avvenuto il 4 maggio del 1861, uno dei primi atti della neonata Italia unita.

Principi antichi per guerre moderne

“Ogni guerra, sin da quelle che facevano gli antichi romani, si basa sull’efficacia delle comunicazioni e della tecnologia”, ha ribadito il generale, aggiungendo che “oggi i cacciabombardieri sono stati sostituiti dai droni, la radio è stata sostituita dal satellite, le formazioni corazzate hanno bisogno di strumenti di tecnologia diversa dal passato, le truppe senza la padronanza dei mezzi tecnologici alla fine soccombono”. Le nuove tecnologie stanno, infatti, modificando profondamente il modo di condurre le operazioni militari: “Ritengo che una delle considerazioni più rilevanti riguardano proprio i nuovi ambiti cyber e spaziale, che forse non sono risolutivi, ma certamente hanno un ruolo determinante”, una forza armata che non fosse capace di operare nella rete e oltre l’atmosfera si troverebbe presto in grande difficoltà.

Le capacità dell’Esercito

Per quanto riguarda l’Esercito italiano negli ultimi vent’anni è stato “un fiore all’occhiello del nostro Paese, sia dentro che fuori i confini nazionali, guadagnandosi anche la fiducia di tutti i nostri alleati e delle popolazioni con cui siamo venuti in contatto”. Adesso, però, la Forza armata si trova a dover fronteggiare missioni diverse, che richiederanno un aggiornamento delle proprie piattaforme. “Ci stiamo lavorando – ha rivelato Serino – investendo non solo su nuovi carri ed elicotteri, ma soprattutto sul munizionamento, un sistema di artiglieria con grande precisione sino a 70 chilometri”. Importante, da questo punto di vista, è che nel prossimo futuro si arrivi a una partnership rafforzata con l’industria nel settore delle piattaforme terrestri: “È una base di partenza per consolidare capacità nazionali nel settore terrestre”.

La modernizzazione delle Forze

“Si parla di domani, ma il domani è già oggi”, ha commentato il presidente del Centro studi Esercito, Salvatore Farina, già capo di Stato maggiore della Forza armata prima di Serino. Per il generale, le soluzioni del mondo della Difesa come droni, tecnologie cyber, mezzi a pilotaggio autonomo e satelliti, già esistono, “dobbiamo prenderli e introdurli in servizio”. Lo sforzo di modernizzazione, dunque, non parte da zero, e secondo Farina bisognerebbe partire proprio da quei sistemi già pronti: “Dal Sistema individuale di combattimento per il singolo combattente, ai Lince II Nec, i Frecci e i Centauro II” ha spiegato Farina, registrando come ci sia una capacità in particolare che è rimasta più indietro rispetto alle altre: le forze pesanti. “Solo la priorità numero uno per cui bisogna avviare la modernizzazione, oltre l’Ariete II, anche del Dardo, il mezzo da combattimento principe”.

L’integrazione tra sistemi

Sull’importanza che le nuove tecnologie rivestono per la Difesa è intervenuto in particolare l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo: “Siamo convinti che il multi-dominio dell’interoperabilità siano il tema di oggi, nel quale dobbiamo investire in modo consistente, cercando di interconnettere le piattaforme con l’elettronica per la difesa”. Di fronte alla digitalizzazione del campo di battaglia, inoltre, serviranno nuovi sistemi di sicurezza cyber e una nuova capacità di “sincronizzare obiettivi e strumenti e farli lavorare in grande velocità”. Mettere insieme sensoristica diffusa, dunque, per garantire la superiorità informativa, dagli sciami di droni alla tecnologia spaziale.

Collaborazioni e logistica

Le tecnologie, del resto “sono alla base delle sfide delle forze armate e industriali”, ha fatto eco il managing director di MBDA Italia, Lorenzo Mariani, sottolineando però l’importanza di avere “soldi, capacità e organizzazione” in un contesto di collaborazione internazionale. “Le grandi collaborazioni internazionali si fanno tra poche nazioni, che condividono un’industria per la difesa, un Pil, gli investimenti e una direzione politica”, ha continuato Mariani, secondo il quale sarà fondamentale per il futuro arrivare ad avere una struttura per una collaborazione internazionale. Inoltre, “il nuovo paradigma tra industria e difesa produrrà un’accelerazione importante delle capacità” per cui sarà fondamentale strutturare un nuovo modello di supporto logistico.

Prepararsi all’imprevisto

“Dovremmo iniziare a immaginare una difesa concettualmente molto diversa da quella che abbiamo, perché le forze armate servono alla difesa da quello che noi non ci aspettiamo”, ha detto il presidente del CeSI, Andrea Margelletti, che ha anche sottolineato come “quando scoppiano le crisi è già tardi per investire in difesa, e le crisi non sono mai quelle per le quali ci siamo addestrati”. Anche gli scenari internazionali sono sempre più ampi, e i tempi di reazione sempre più stretti: “Ci focalizziamo sull’Ucraina e non ci rendiamo conto che i russi sono anni che penetrano in Africa e in e in Libia, con interessi direttamente confliggenti con i nostri”. Per questo, è necessario continuare investire in Difesa, perché “abbiamo bisogno di uno strumento che faccia quello che deve fare, con le Forze armate che siano pronte a difenderci dall’imprevisto”.

La competizione tecnologica globale

A essere trasformato dalle nuove tecnologie emergenti, però, è l’intero scenario dei rapporti globali, ha spiegato il direttore dell’Ecfr di Roma, Arturo Varvelli: “Siamo in un periodo storico nel quale la componente tecnologica sarà capace di definire l’egemone, o gli egemoni, del futuro”. Per il ricercatore, “L’Occidente dovrà recuperare alcune delle capacità che erano state delegate altrove, dal momento che questo altrove sta diventando sempre più ostile”. Secondo Varvelli, questa potrebbe essere anche l’opportunità per l’Europa di consolidare la propria cooperazione industriale: “sarebbe velleitario per i Paesi pensare di poter essere autonomi, duplicando industrie più competitive”. È un cambio di mentalità che prevede che gli europei comprendano che le minacce arrivano da fuori del Continente, “e non tra noi stessi”.

Il pilastro europeo della difesa transatlantica

Parte dallo stesso principio anche Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dello Iai, secondo il quale la Bussola strategica “è un segnale di questione politica, segna un passo in avanti verso l’autonomia strategica, non da qualcuno, ma di agire per difendere i propri interessi”. In particolare, secondo il ricercatore, l’attenzione si è concentrata molto sulla Forza di reazione rapida di 5mila unità “molti meno rispetto ai 60mila previsti dagli Helsinki Headline Goal del 1999, ma di più rispetto a i 1200 dei Battlegroup”. Una misura intermedia, dunque, che però bisognerà decidere come utilizzare. I Battlegroup sono in stand by dal 2007, e non vengono utilizzati da allora. “Un’opportunità di impiego potrebbe venire dalla missione in Kossovo, che rimane sulle spalle della Nato”, suggerisce ancora Marrone, decisioni che consentirebbero all’Europa di dare un “segnale forte di autonomia strategica di divisione del lavoro transatlantica”.

 



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