Il presidente turco è in cerca di consensi e per farlo intende mescolare aggiustamenti tattici, diamiche strategiche e narrazione. Il Mar Nero mescola tutti questi ambiti: Erdogan vuole che torni “un lago ottomano” e per farlo sfrutta gli spazi concessi dall’invasione russa dell’Ucraina (giocando di sponda con l’Occidente)
Un video della Difesa ucraina e ripreso un po’ ovunque mostra i droni Bayraktar TB-2 colpire due unità navali Classe Raptor attorno all’Isola dei Serpenti, che si trova nel Mar Nero, tra Odessa e Costanza. Lo spostamento di queste era stato segnalato qualche giorno fa, quando si analizzava come quel lato della costa dell’Ucraina occidentale stia diventando particolarmente attenzionato da Mosca, oggetto di operazioni militari. Presto potrebbe diventare un punto di snodo operazioni se Mosca decidesse di ampliare di nuovo l’attacco: gli obiettivi russi sarebbero Odessa, porto nevralgico, ma anche la regione del Budjak da usare per collegare la Transnistria al mare.
Nei giorni scorsi, il sito della Baykar Technologies, l’azienda turca che produce anche i TB-2 comprati da Kiev già prima della guerra, pubblicava nella sezione “news” informazioni su un test di successo compiuto proprio sul Mar Nero: la prima volta che il nuovo veicolo senza pilota Akinci, grazie alla designazione del bersaglio effettuata dal laser di un Bayraktar, colpiva un obiettivo in mare. Era il 22 aprile: dieci giorni dopo al posto del materassino gonfiabile usato come bersaglio c’erano due motovedette russe.
La scenografia è sempre il Mar Nero, dove la Turchia è in piena attività in queste settimane, decisa ad approfittare degli spazi prodotti dal conflitto per consolidare la propria impronta nel bacino, intensificando l’esplorazione delle risorse di gas naturale e tenendo esercitazioni navali, e perché no dando dimostrazioni indirette (quasi per procura) di capacità tecniche, tecnologiche e militari come quelle attraverso i droni ucraini.
In un discorso televisivo per segnare la conclusione delle esercitazioni “Mavi Vatan”, o Patria Blu (122 navi di superficie, 41 aerei e 12.000 persone mosse tra Mediterraneo, Egeo e Mar Nero), il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha sottolineato la necessità per la Turchia di “proteggere i mari che la confinano a nord, ovest e sud mantenendo una marina moderna”: “Continueremo questi sforzi con decisione fino a quando non diventeremo la forza navale più potente della regione e del mondo”.
Un obiettivo ambizioso, ma Erdogan è già impegnato di fatto per le presidenziali del prossimo anno, in una campagna elettorale in cui è in gioco la sua eredità nella storia del Paese. Molte delle sue mosse — come le iniziative per distendere divisioni con il mondo arabo sunnita del Golfo, o Israele — vanno lette in controluce. Con queste si muove la narrazione, e il Mar Nero — l’ex “lago ottomano” — ha un posto importante nella socio-psicologia e nella cultura turca.
Se la proprietà turca del Bosforo, dettata dalla Convenzione di Montreaux del 1936, conferisce il controllo sul passaggio talassocratico tra il Mediterraneo e il Mar Nero, per Ankara ora si aprono ulteriori spazi geopolitici.
All’inizio di questo mese, il governo turco ha inviato un’altra nave da perforazione nell’area del giacimento di gas di Sakarya, che si trova a 185 chilometri a nord del porto di Zonguldak — spostato di qualche chilometro a ovest dell’asse nord-sud con la Crimea. Il dispiegamento (tre navi, la “Fatih”, la “Kanuni” e la “Yavuz” protette a vista dalla flotta militare) rientra nella fase finale del progetto con cui la Turchia intende sfruttare i 540 miliardi di metri cubi di gas potenziali scoperti due anni fa, allentando potenzialmente la sua dipendenza dal gas proveniente dalla Russia.
Un obiettivo che ha assunto valore dopo che l’invasione russa dell’Ucraina ha scombussolato il mercato energetico, e soprattutto all’interno del tentativo occidentale di tagliare le forniture da Mosca — contesto che crea copertura politica da Washington e Bruxelles per il progetto, dopo che iniziative simili, come quelle troppo avventuristiche nelle acque cipriote, avevano fatto storcere il naso perché portatrici di guai geopolitici.
Erdogan, almeno dal punto di vista narrativo, intende invertire la situazione creata durante la Guerra Fredda, quando la Russia aveva il controllo di una larga parte di costa del Mar Nero (un arco a C rovesciata che includeva i Paesi del Patto di Varsavia). L’inerzia è stata favorevole ad Ankara finora — con lo sganciamento di Romania, Bulgaria, Ucraina, Georgia dalla sfera russa — e adesso la Turchia prova a sfruttare l’occasione cinetica della guerra voluta da Vladimir Putin.
Sotto quest’ottica, i suoi droni (il “suoi” è simbolico, perché sono ucraini ma è la Turchia a fornirli) che colpiscono l’Isola dei Serpenti lì, nei pressi delle coste romene e dove la Russia potrebbe muovere per lo scacco su Odessa e Transnistria — e dunque aggredire anche la Moldavia — ha un valore anche agli occhi occidentali.
Nel 2016, quando a causa del conflitto siriano tra Russia e Turchia si registravano tensioni, Erdogan denunciava che il Mar Nero era “quasi diventato un lago russo” chiedendo alla Nato una maggiore presenza. Ankara sottolineava i rischi connessi all’annessione della Crimea — dove a Sebastopoli ha sede la Flotta del Mar Nero — e quelli collegati a una perdita di attenzione sul bacino a vantaggio di Mosca.
A distanza di sei anni, la Nato ha aumentato la sua attività nella regione e ora che Putin ha aggredito Kiev, il presidente turco ha in mano la carta del “ve lo avevo detto”.
La Turchia vede sempre più il suo ruolo nella regione come gancio di bilanciamento di fronte alle ambizioni di Mosca. E soprattutto così prova a farlo percepire. Ha interesse diretto, ma può sfruttare in questo l’oggettività del momento. Ankara può rivendicare la sovrapposizione di questi interessi: se la Russia diventa più forte nel Mar Nero aumentando il proprio controllo geopolitico via via a ovest di Krasnodar, non è solo un problema turco ma diventa una questione che tocca l’Europa, la Nato e dunque gli Stati Uniti e l’Occidente tutto.
Sotto questo quadro, il tema del gas diventa nevralgico: il campo di Sakarya ridurrà di un quarto le importazioni dalla Russia — che nel 2021 hanno toccato i 60,1 miliardi di metri cubi, pari al 45 per cento del totale, molto di più di quello che inviano i fratelli turchi azeri. La stima di riduzione si avrà una volta raggiunto il picco di produzione nei prossimi cinque anni, e per farlo Ankara — che prevede di iniziare a pompare gas dal campo il prossimo anno — ha bisogno di investimenti per costruire una rete di gasdotti offshore e impianti di lavorazione.
Il governo turco soffre una crisi economica che sta mettendo Erdogan in difficoltà con il suo stesso elettorato, e che – come detto – è anche alla base di molte delle iniziative di carattere internazionale del presidente (come il dialogo con Riad e Abu Dhabi). La carta anti-Russia ha anche questo sapore. Il capo di Stato turco potrebbe dire qualcosa del genere: volete che la Turchia come membro Nato allenti la dipendenza da Mosca? Possiamo farlo ma ci servono investimenti.
L’ambiguità non manca in questo gioco: ci sono leve che Erdogan sa di poter rischiosamente muovere, come dimostra l’acquisto dei sistemi anti-aerei russi S-400; e il presidente sa bene che una parte di rapporti con la Russia dovrà mantenerli, per esempio per non perdere possibilità nel nord della Siria, dove dà la caccia a quello che considera nemici, i curdi. Ma intanto sposa una posizione più occidentalista.
(Foto: TPOA)