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Nato e Russia, il cerchiobottismo di Erdogan non finirà tanto presto

Tra un anno ci saranno le elezioni e il governo attuale non vuole rischiare di arrivare a quell’appuntamento con una zavorra in più, oltre al calo di consensi per l’attuale presidente. Per questa ragione giocherà ancora su più tavoli

Non ci sono Nato e Russia in cima ai pensieri del presidente turco, non perché il dossier ucraino o la partita degli F-16 siano poco appetibili, intendiamoci: semplicemente perché fra 12 mesi ci saranno le elezioni presidenziali e Recep Tayyip Erdogan (che oggi sentirà al telefono i presidenti ucraino e russo, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin) non vuole rischiare di arrivare alla vigilia delle urne con problemi alla voce Europa e Cremlino. Per questa ragione è verosimile immaginare che proseguirà sulla strada del cerchiobottismo tattico, tanto a est quanto a ovest, per provare a incassare quanto più possibile dall’uno e dall’altro. Ecco una mappa dei fronti aperti che Erdogan ha, sia all’interno che all’esterno.

La componente esterna

Erdoğan sta bloccando l’espansione della Nato per includere Finlandia e Svezia in un momento chiave degli sforzi occidentali per affrontare la Russia e la sua invasione dell’Ucraina. Da un lato il leader turco afferma che i due Paesi non stanno proteggendo la sicurezza turca ospitando terroristi curdi, dall’altro la tendenza occidentale ad accontentare l’alleato sul Bosforo (con il no all’Estmed e il sì agli F-16) potrebbe portare in dote ulteriore tensione in quella macro aree e nelle altre ad essa connesse.

Una tesi, questa, sostenuta anche da Cengiz Atar, professore di scienze politiche all’Università di Atene, secondo cui le potenze occidentali stanno commettendo con Erdogan lo stesso errore fatto con Putin: “Le potenze occidentali ancora una volta trovano scuse per il presidente Recep Tayyip Erdoğan, comprendendo le misteriose legittime preoccupazioni per la sicurezza della Turchia, che spesso equivalgono a una licenza di uccidere – ha vergato su Politico – Ma accontentandolo solo al fine di mantenere il paese all’interno della Nato, non riescono a capire che il leader turco non è così diverso dal presidente russo e che, ancora una volta, una politica di pacificazione semplicemente non funzionerà”.

Mediterraneo

Due i versanti di crisi acuta: Grecia e gas, che poi si intrecciano fisiologicamente. L’Ufficio turco di navigazione, idrografia e oceanografia ha annunciato rilievi idrografici vicino alle isole greche Lesbo, Skyros e Agios Efstratios da parte della nave da ricerca Çeşme proprio mentre Atene sostiene che la Turchia non ha l’autorità per emettere avvisi di navigazione nell’area poiché va oltre la sua piattaforma continentale. Ankara replica che la Grecia viola regolarmente gli accordi di Atene del 1988, che richiedono l’interruzione dell’attività militare nell’Egeo tra luglio e settembre per evitare danni turismo. Il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias ha definito “estremi” i commenti dei funzionari turchi, mentre il parigrado turco lancia strali sul gas.

Come è noto il nuovo gasdotto Eastmed, che collegherebbe Israele al Salento per via delle nuove scoperte nella zona (Zohr, Leviathan, Glauko), è avversato dalla Turchia perché non ne beneficerebbe, dal momento che nessuna legge o trattato internazionale le dà accesso a quelle acque. Per questa ragione l’occidente sta tentennando.

La componente interna

Il competitor più accreditato di Erdogan alle prossime elezioni è stato arrestato poche settimane fa: Canan Kaftancioglu, leader dei progressisti e in grado di rappresentare l’alternativa rosa al potere decennale dell’attuale presidente è stata condannata a 5 anni di reclusione per aver insultato il presidente e lo stato durante una manifestazione pubblica. Coordinava a Istanbul il Partito popolare repubblicano (CHP) e nel 2019 è stata regista della vittoria del sindaco Imamoglu, primo volto non erdoganiano negli ultimi 25 anni.

I metodi di governo sempre più autoritari sono stati descritti nel nuovo libro di Dimitar Bechev, “La Turchia sotto Erdoğan”, da cui emerge un presidente che non dovrebbe vedere in pericolo la propria rielezione, ma ciononostante una buona fetta di elettorato (soprattutto fra i più giovani) non è soddisfatta sia del piglio presidenziale alla voce libertà, sia dell’inflazione galoppante che sta zavorrando famiglie e imprese ben prima della guerra in Ucraina. Lo dimostrano i dati della lira turca e delle condizioni generali dell’economia del Paese.

Sempre alla voce libertà fanno specie le nove cancellazioni di concerti delle ultime settimane, apparentemente per motivazioni burocratiche, ma secondo alcuni analisti legati ancora una volta al rischio che la musica possa veicolare messaggi di libertà: a Kocaeli è stato cancellato lo spettacolo della cantante curda di fama internazionale Aynur Doğan a causa di un’ispezione che avrebbe rilevato irregolarità organizzative. Il duo folk dei fratelli Metin e Kemal Kahraman ha perso una data a Muş perché lo spettacolo è stato ritenuto inappropriato.

Stessa sorte anche per Stêrka Karwan, una band curda e per Niyazi Koyuncu, fratello del famoso cantante del Mar Nero Kazım Koyuncu, che “non condivide le opinioni e i valori delle istituzioni”.

Censura digitale

La Turchia è al 149° posto su 180 Paesi per libertà dei media, secondo il report redatto a maggio da Reporter senza frontiere (RSF). Sul punto si registra un’iniziativa parlamentare in stile russo per punire con la reclusione fino a tre anni per aver divulgato notizie false, ma senza specificare chi dovrà accertare la veridicità di un articolo, di un post sui social o di un servizio giornalistico. Lo scorso dicembre Erdoğan aveva epitetato i social media come una delle principali minacce alla democrazia. La nuova legge che prende il nome di “censura digitale” prevede pene detentive da uno a tre anni per chiunque diffonda pubblicamente informazioni false sulla sicurezza nazionale, l’ordine pubblico o la salute pubblica e che creino ansia, paura o panico tra la popolazione o disturbino la quiete pubblica. Secondo i promotori della legge il modello seguito è quello già in vigore in Usa o Germania, ma non si trovano affinità giuridiche nei due paesi, dove non è bloccato per nessuna ragione l’accesso ai social media. In Francia e negli Usa esiste un provvedimento che prende di mira la disinformazione elettorale ma niente a che vedere con la nuova legge turca.

@FDepalo

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