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Cara Europa, la tenaglia di Putin passa da Sud. Parla Minniti

Intervista al presidente della Fondazione Med-Or, già ministro dell’Interno. Putin stringe l’Europa in una tenaglia umanitaria, se non liberiamo il grano ucraino il Nord Africa e il Mediterraneo rischiano di implodere

Marco Minniti è nel suo ufficio da presidente della Fondazione Med-Or e con le mani disegna nell’aria grandi cerchi concentrici, “l’Europa rischia di finire in una tenaglia umanitaria”. La tenaglia porta la firma di Vladimir Putin. Minniti, ex ministro dell’Interno e già autorità delegata all’intelligence, è convinto che si possa ma soprattutto si debba spezzare, prima che sia troppo tardi. E a Formiche.net, prima di salire sul palco di un convegno con l’Atlantic Council di Washington Dc, confida come.

Putin sta vincendo?

No. Siamo di fronte a uno stallo prolungato. Putin ha cambiato approccio, si è concentrato su un fronte più limitato. E questo dà vita allo spettro di una guerra di logoramento, dai tempi lunghi. Prendere il Donbas non sarà facile. Occupare un territorio che rimane per buona parte ostile è un’impresa per qualsiasi occupante.

Cosa non funziona nei piani dello zar?

L’esercito. È in corso un evidente logoramento dell’apparato militare russo, sia a livello umano, sia di equipaggiamento. Non è un mistero che per l’invasione siano stati riattivati vecchi carri armati. Senza contare le nuove misure per portare i coscritti al fronte.

Questo è il campo. Poi c’è un altro fronte, quello interno. Quanto resistono le opinioni pubbliche occidentali prima di frantumarsi?

Dobbiamo essere più veloci. Abbiamo mancato un appuntamento cruciale.

Quale?

Il 9 maggio. La parata militare russa ha inaugurato la fase due della guerra. Doveva diventare un inno alla forza russa e alla vittoria nel Donbas, le cose sono andate diversamente. Quello era il momento per una controffensiva diplomatica dell’Occidente, una strategia.

Da dove si riparte?

I corridoi per il grano. Se Putin insiste nel blocco dei porti, decide consapevolmente di mondializzare la crisi umanitaria. È una scelta che cambia tutto. Significa non solo allungare i tempi della guerra ma gridare al mondo intero una convinzione: sarò io a vincerla.

Può diventare un boomerang?

È un azzardo. Il secondo, dopo quella notte del 24 febbraio. Putin invierebbe il conto della sua guerra anche a una serie di Paesi che finora sono rimasti indifferenti o in silenzio, magari astenendosi all’Onu.

Cosa dobbiamo aspettarci?

Se la crisi del grano dovesse protrarsi per settimane, addirittura mesi, un’ondata di instabilità potrebbe riversarsi nel Mediterraneo. La storia insegna: quando non c’è il pane, ci sono i tumulti sociali. Poi arriva la destabilizzazione politica, a volte anche una crisi umanitaria.

Non proprio buone notizie per un’Italia che in questo quadrante si gioca il suo futuro energetico..

La posta in gioco è ancora più alta. Nel Mediterraneo si deciderà il destino di tre crisi legate una all’altra: energetica, certo, ma anche alimentare e securitaria. In questo mare si dovrà costruire la vera alternativa al gas e al petrolio russo, la guerra però costringe a ripensare i piani. Le faccio un esempio.

Prego.

La Libia. È un Paese destabilizzato, ha due governi, c’è chi parla di una divisione in due sfere di influenza. È uno dei più grandi produttori di petrolio del Mediterraneo ma i pozzi sono fermi. E sa da chi importa quasi il 90% del grano? L’Ucraina.

Un domino perfetto.

È la globalizzazione, messa in pratica. Un pezzo fondamentale dell’exit-strategy in Ucraina si gioca nel Mediterraneo.

Europa non pervenuta? 

L’Europa è a un bivio storico. Ha saputo gestire l’ondata di profughi dall’Ucraina meglio del previsto. In autunno, dalla Bielorussia, Putin aveva saggiato la sua resistenza. Probabilmente a febbraio sperava in un collasso che non c’è stato.

C’è un ma…

Ma la guerra rischia ora di abbattere sul Vecchio Continente un’altra ondata, da Sud. L’Europa potrebbe finire al centro di una tenaglia umanitaria. Una sfida epocale al principio di solidarietà europeo: i Paesi del Nord-Est, già sotto stress, allungheranno la mano? È bene chiederselo.

Come se ne esce?

Aprendo una via negoziale. Alt: non significa capitolare, a scanso di equivoci. E qui torniamo al grano: la Russia deve essere messa di fronte alle sue responsabilità. Nulla può coalizzare gli interessi della comunità internazionale come l’ombra di una crisi alimentare globale.

Basterà per smuovere i non-allineati?

Si stanno già muovendo per tutelarsi. Prendiamo l’India: ha una partnership di ferro con la Russia, è reduce da un accordo per comprare petrolio da Mosca a basso prezzo. Eppure ha deciso di fermare le esportazioni di grano per garantire la sua sicurezza alimentare. Putin sta creando un mondo in cui gli Stati hanno una sola preoccupazione: esistere.

Mettiamo che Putin accetti di liberare il grano. Che succede?

È un rischio, non c’è dubbio. Il momento dopo che i porti ucraini saranno sminati, le navi militari russe avrebbero libero accesso. Serve un corridoio internazionale, può diventare l’anticamera di un cessate-il-fuoco. Putin invierebbe un segnale al mondo: la crisi resta qui.

Poi?

Poi si tratta. O meglio, l’Ucraina aggredita tratta. Con l’auspicio che l’obiettivo di tutti sia uno solo. Non indebolire o sconfiggere definitivamente la Russia, e tantomeno un regime change a Mosca. Ma porre fine subito all’invasione.

Altrimenti?

L’Europa si prepari all’urto. Servirà un piano di intervento economico-solidale per il Nord Africa, un migration compact. Poi una contro-tenaglia diplomatica per circondare la Russia. Se Putin arma la crisi umanitaria, va disarmata sul piano della diplomazia.

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