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Io, Falcone e la mafia. Parla l’ex capo dell’Fbi Louis Freeh

In partenza per Palermo per partecipare alle commemorazioni del trentennale della strage di Capaci, l’ex numero 1 del Fbi ricorda commosso, nell’intervista rilasciata a Gianfranco D’Anna, le fasi essenziali della profonda amicizia e della stretta collaborazione giudiziaria col magistrato assassinato da cosa nostra

L’amico e il giudice geniale. Il sorriso, l’ironia, l’umanità e le grandi intuizioni investigative di Giovanni Falcone sembrano materializzarsi davanti agli occhi a alle parole commosse di Louis Freeh che ricorda i loro molti molti incontri di lavoro trasformatisi in una fraterna amicizia.

Prima agente del mitico Federal Bureau of Investigation, poi procuratore distrettuale di New York e Giudice federale e per otto anni, dal 1993 al 2001 direttore del Fbi, Freeh è stato per un decennio l’interfaccia di Falcone negli Stati Uniti nelle inchieste antimafia. Una collaborazione talmente sincronizzata ed efficace da determinare in pochi anni l’interruzione del colossale traffico di eroina fra Sicilia e America con annessa decapitazione tanto negli Usa quanto nell’isola delle rispettive ramificazioni di cosa nostra. A New York e negli States l’arresto di capi e gregari delle cinque famiglie della mafia siculo americana, a Palermo il maxi processo, lo tsunami dei pentiti e la legislazione antimafia.

“Falcone è stato una delle persone più coraggiose che io abbia mai incontrato” afferma Louis Freeh, che dopo l’esperienza di direttore del Fbi ha fondato una società internazionale di consulenza investigativa.

Lei è in partenza per Palermo per partecipare alle commemorazioni del trentesimo anniversario della strage di Capaci. Quale, tra i vari ricordi personali di Giovanni Falcone, il più caro e significativo?

Il ricordo più significativo del giudice Falcone, e sicuramente il più caro, è stato quando è venuto a trovarmi negli uffici del procuratore federale di New York negli anni ’80, quando entrambi stavamo conducendo le inchieste parallele sulla cosiddetta “pizza connection” e le indagini che poi portarono al maxiprocesso. Condividevamo le prove e pianificavamo la strategia. In una di queste visite, di sabato, ho portato mio figlio molto piccolo, due o tre anni, in ufficio per fare riposare mia moglie. Giovanni ha preso in braccio nostro figlio e tenendolo sulle sue ginocchia mi ha detto che amava moltissimo i bambini, ma temeva per la loro sicurezza a causa dei pericoli che incombevano su lui e Francesca. Era entusiasta di sapere come io e mia moglie stavamo crescendo i ragazzi, che allora erano 4 e poi successivamente sono diventati sei.

Falcone privato?

Giovanni aveva una grande e meravigliosa risata che sottolineava il suo genuino e spiccatissimo senso dell’umorismo. Una volta, dopo aver lavorato tutto il giorno nel tribunale di New York, chiese di fare una passeggiata a Central Park: erano circa le 21. Gli ho detto che era ‘pericoloso’ per i rapinatori e ladri che sarebbero potuti sbucare dall’oscurità. Non avevo finito di dirlo che mi ha chiesto se c’erano mafiosi anche nel parco…e entrambi siamo scoppiati a ridere, trasformando in ironia la mia preoccupazione.

L’incidenza di Falcone negli sviluppi investigativi e giudiziari negli Stati delle indagini sulla mafia siciliana americana?

Le indagini del giudice Falcone e il “reclutamento” dei pentiti in Sicilia, in particolare Tommaso Buscetta, sono state fondamentali per l’inchiesta Usa sulla pizza connection capeggiata dal boss siciliano Gaetano Badalamenti. Ha riservato molta attenzione alle rivelazioni di Buscetta, che si fidava totalmente del giudice Falcone, e siamo stati in grado di inserirlo nel programma dei testimoni degli Stati Uniti e di assicurargli così protezione. La testimonianza di Buscetta su cosa nostra americana e sul ruolo del boss Badalamenti nell’ambito della cosca di Cinisi e della cupola, il vertice della mafia siciliana, si è rivelata essenziale per ottenere condanne nei processi statunitensi e per le inchieste in Italia.

Lei è stato nominato direttore dell’Fbi il 1 settembre 1993. Come ha proseguito le indagini sulle stragi dell’anno precedente?

Appena tornato al Fbi ho rivolto tutta la mia attenzione agli omicidi di Falcone e Borsellino, sui quali il Federal Bureau of Investigation aveva lavorato assieme con i vertici del Servizio Centrale Operativo della Polizia italiana. Mentre fino allora avevo seguito esternamente le inchieste, una volta tornato in Fbi ho potuto indirizzare ingenti risorse su questi casi e ci siamo assicurati che i vertici della Polizia e la magistratura avessero tutto ciò che potevamo offrire a titolo di supporto. Per esempio il tracciamento del Dna forense, l’invio di investigatori e documenti, l’assistenza per le intercettazioni, la tecnologia, l’intelligence ecc.

Altre esperienze giudiziarie e investigative con l’Italia?

Il mio lavoro con i magistrati e i vertici della Polizia italiani, da Liliana Ferraro a Gianni De Gennaro ad Antonio Manganelli, è stata la migliore esperienza professionale della mia carriera pubblica. Oltre al loro incredibile coraggio, guida, abilità e impegno, questi uomini e queste donne sono stati i migliori esempi che abbia mai visto di rappresentanti delle istituzioni devoti, onesti e altruisti che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere tutti gli italiani.


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