Nelle prossime ore il Fomc approverà un secondo rialzo dei tassi, probabilmente di 0,50 punti, sull’onda di un’inflazione ai massimi da 41 anni e della corsa dei rendimenti sui Treasury. Poi toccherà a Inghilterra, Brasile, ma non solo. Mentre in Europa si compra tempo. Per ora…
Il nervosismo è quello tipico delle grandi occasioni e per questo è comprensibile. La Federal Reserve, la principale banca centrale del mondo è pronta ad alzare nuovamente il costo del denaro, fino a 0,50 punti base o più. Magari a 0,75 come si aspetta qualche analista.
E, a guardare due indicatori, non potrebbe essere altrimenti: l’inflazione negli Stati Uniti viaggia sui livelli più alti da circa 40 anni, all’8,5%, mentre negli ultimi due giorni il rendimento reale del Treasury americano a 10 anni è aumentato di quasi 30 punti base. Fatta eccezione per periodi straordinari (il fallimento di Lehman Brothers, il taper tantrum e il Covid-19), questo si unisce ai cinque progressi più ripidi degli ultimi 25 anni.
Di qui, l’accelerazione dell’istituto guidato da Jerome Powell, al suo secondo giro dopo una prima stretta, lo scorso 16 marzo, che era valsa 0,25 punti. Gli occhi degli investitori sono puntati sulla fine della riunione del Fomc, il comitato di politica monetaria della banca centrale Usa, che dovrebbe annunciare per l’appunto il secondo rialzo dei tassi di interesse Usa consecutivo dopo quello di marzo. Stavolta però le attese sono per almeno 50 punti base, una mossa più corposa che non si verifica da oltre 20 anni a questa parte.
È probabile che l’inflazione americana abbia raggiunto il suo picco, o che vi sia molto vicino, dal momento che l’effetto base (cioè il confronto con i mesi del 2020) sta per diventare negativo e che i prezzi della benzina si sono stabilizzati. Ma questo non dovrebbe certo scoraggiare la Fed dall’innalzare ulteriormente il costo del denaro. Cosa che con ogni probabilità faranno altre banche centrali, a cominciare da quella inglese che nelle prossime ore metterà mano ai tassi, preceduta dalla Royal Bank of Australia e dalla banca centrale brasiliana.
Aspettando sempre la cenerentola Bce, che ancora non sembra aver preso una posizione chiara (qui l’intervista all’economista Innocenzo Cipolletta) sul da farsi. Anche se qualcosa si muove, come dimostrano le parole di Isabel Schnabel, membro tedesco del board dell’Eurotower, ad Handelsblatt circa una prima stretta già nel mese di luglio. “Allo stato attuale un rialzo dei tassi di interesse nell’area euro a luglio è possibile, sul poi si vedrà in base agli sviluppi dei dati, posto che i tassi sono così bassi che anche con alcuni rialzi resterebbero favorevoli all’attività economica”.
Ancora una volta però, saranno i numeri a decidere la politica monetaria della Bce. Nelle scorse ore, in vista della grande stagione delle strette monetarie globali, il rendimento del Bund decennale è infatti risalito per qualche momento all’1%. Alla fine ha chiuso a 0,97%, ma il tabù dell’1% l’ha infranto. È la prima volta dal 2015. Allo stesso tempo il rendimento del Btp ha toccato il 2,85%, massimo da inizio 2019. Scocca l’ora dei falchi in Ue?
(Foto: IMF Photo/Cory Hancock)