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Perché bisogna essere atlantisti e pacifisti. L’opinione di Pietroni

È necessario considerare la complessità del conflitto, mediare i valori/interessi coinvolti e, ribadendo la solidità ed essenzialità dell’alleanza atlantica, assumere posizioni che diano priorità al negoziato di pace. L’opinione di Nazzareno Pietroni

Gli Usa hanno fino ad oggi dettato la linea occidentale rispetto al conflitto in Ucraina, alla quale l’Europa si è conformata: rispondere alla domanda di aiuti del Governo di Kiev, recuperare l’integrità territoriale del Paese invaso, difendere i valori della democrazia, tutelare la libera volontà di una nazione sovrana, perseguire la pace attraverso il rafforzamento militare e politico del governo ucraino. Strumenti di tali obiettivi sono stati l’invio di armi, l’adozione di sanzioni, la concessione di finanziamenti, l’emarginazione politica della Russia e l’inclusione occidentale dell’Ucraina.

La strategia occidentale si è conformata all’idea che l’invasione di un Paese democratico e sovrano non sia tollerabile e imponga una fattiva reazione politica e militare, in prospettiva di una pace basata sulla legalità internazionale e non sulla violenza. Tale idea, di fronte all’inefficacia delle sanzioni e all’aumento delle morti e delle distruzioni, è sottoposta a revisione nei Paesi europei. Al punto che anche il presidente Draghi, nell’incontro con Biden, ha rappresentato le istanze di pace che provengono dal vecchio continente, pur ribadendo la coesione atlantica, in prospettiva di una mediazione tra le posizioni americane/inglesi e quelle di molti Paesi europei.

La ricerca di un punto di equilibrio necessita una nuova rappresentazione politica del conflitto.

Va innanzitutto evitata la semplificazione dell’analisi, giustificando la strategia “armi e sanzioni” attraverso il solo riferimento ai valori della libertà democratica, poiché la guerra coinvolge altri valori e interessi che non possono essere trascurati: l’aiuto militare all’Ucraina, per quanto democraticamente solidale ed essenziale per la resistenza all’invasione, produce un’espansione nel tempo e nello spazio del conflitto, con aumento delle morti, delle distruzioni, delle difficoltà energetiche e alimentari mondiali, senza poter ragionevolmente produrre un ritorno forzoso delle truppe russe fuori dai confini ucraini (ovvero contribuendo a imporre un ipotetico ritiro della Russia dalla Crimea e dal Donbass, a seguito di una sconfitta sul campo, che si porterebbe dietro uno strascico di tensioni e revanscismo, prodromico di altre e più sanguinose guerre).

E allora bisogna subire l’ingiusta invasione? No, ma la risposta deve essere articolata su più opzioni, deve ricercare il negoziato come priorità e non concentrarsi su armi e sanzioni. Questo significa cambiare la comunicazione diplomatica aggressiva, evitare la narrazione mediatica bellicista e drammatizzata pro/contro Putin, interrompere l’escalation (con i drammatici rischi connessi), avanzare proposte alle parti in conflitto, strumentalizzare armi e sanzioni ai fini di un accordo, riconoscere le aspettative delle popolazioni russofone, valorizzare soluzioni pragmatiche che coinvolgano le popolazioni, costruire il negoziato superando impostazioni ideologiche basate su nazionalismi e modelli socioculturali.

Questo significa prendere atto che i popoli non sempre sono sulla stessa posizione dei governi: la maggioranza dei cittadini europei difende le ragioni dell’Ucraina ma non è favorevole a una lunga guerra e teme i contraccolpi sociali ed economici della crisi bellica; i cittadini ucraini, e in particolare quelli delle regioni contese, desiderano prima di tutto la pace e possono essere protagonisti di consultazioni referendarie utili a stabilizzare i territori contesi.

Questo significa anche operare sulla base dei riscontri obiettivi e non di ipotesi opinabili: non vi sono elementi che inducano a ritenere che la finalità dell’invasione fosse la conquista dell’intero territorio ucraino o addirittura l’espansione bellica in altri Paesi europei (da fermare sul nascere). Al contrario la “guerra lampo” fallita fa pensare che Putin volesse rovesciare il regime di Kiev, in quanto troppo sbilanciato a ovest, sul piano politico e militare; l’esiguità delle truppe russe, ai fini del controllo di un Paese grande due volte l’Italia, depotenzia le ipotesi di un’invasione finalizzata alla conquista dell’intero territorio ucraino; l’implementazione di una guerra a relativa bassa intensità mostra più una volontà di logoramento e consolidamento nelle aree del sud-est, piuttosto che di espansione territoriale verso ovest.

Questo significa comprendere sia le richieste del governo ucraino (facendosi carico delle loro implicazioni sul piano umano, socioeconomico e geopolitico), sia le ragioni dell’invasore (non per giustificarle ma per riconoscerle nell’ambito di un negoziato di pace, tenendo conto dell’oggettiva rilevanza dell’espansionismo Nato a est, della competizione tra Occidente e Russia sui modelli culturali di società, della pericolosità/incongruità di perseguire la caduta di Putin attraverso la guerra).

E soprattutto significa avere chiaro l’obiettivo strategico dell’Europa e degli Usa, tenendo conto che può divergere: una guerra lunga non è nell’interesse europeo (per i rischi di escalation e per le conseguenze umane e socioeconomiche) ma può esserlo in quello statunitense, al fine di indebolire/deporre Putin, riaffermare il ruolo dell’America sullo scenario internazionale (in particolare dopo l’abbandono dell’Afghanistan), inserire la guerra nella politica interna USA, alimentare l’industria bellica, implementare uno scontro su modelli politici e socioculturali, favorire il comparto energetico nordamericano e ampliare la sfera d’influenza Nato/Usa.

È quindi necessario considerare la complessità del conflitto, mediare i valori/interessi coinvolti e, ribadendo la solidità ed essenzialità dell’alleanza atlantica, assumere posizioni che diano priorità al negoziato di pace.

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