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L’Italia ha un problema (russo) in Africa. Parla Wechsler

Intervista a William Wechsler, sottosegretario al Pentagono con l’amministrazione Obama e oggi all’Atlantic Council. Italia, occhio al fianco Sud. Dalla Libia al Sahel, c’è una minaccia (russa) che ti riguarda. Erdogan e la Nato che si allarga? Occhio, non è un bluffatore

Italia avvisata: la guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina rende le minacce alla sicurezza provenienti dal fianco Sud della Nato – Mediterraneo, Nord Africa, Sahel – ancora più pericolose. Meglio prendere le misure da subito, spiega a Formiche.net William Wechsler, direttore del Rafik Hariri Center dell’Atlantic Council di Washington DC e vice sottosegretario alla Difesa con delega alle operazioni speciali e alla lotta al terrorismo con Barack Obama, ospite a Roma di un evento con la Fondazione Med-Or.

Con l’adesione di Svezia e Finlandia la Nato si rafforza?

La Nato è sempre più importante e l’aggressione unilaterale di Putin all’Ucraina le ha dato ancora più forza. Per anni una parte dell’Occidente ha pensato che l’Alleanza fosse un retaggio del passato, che la Russia fosse pronta a trasformarsi e giocare alle regole della comunità internazionale. Oggi vediamo la miopia di quel ragionamento: l’Europa fa ancora i conti con gravi minacce alla sua sicurezza. E se la Nato non esistesse, saremmo costretti a creare qualcosa di molto simile.

Il fianco Sud rischia di finire in secondo piano?

Credo di no: il fianco Sud conta quanto tutti gli altri fianchi dell’Alleanza. La Russia d’altronde vanta interessi radicati in quella regione: fin dall’era zarista desidera lo status di potenza navale che si estende dal Mar Nero all’intero Mediterraneo. In anni recenti Putin è arrivato a combattere una guerra in Siria per difendere quello status.

È ancora un’aspirazione?

Sì, i russi combattono in Ucraina anche per stringere la presa sul Mar Nero. Per questo Mosca mantiene un legame stretto con Ankara: andare d’accordo con i turchi è fondamentale per garantire il passaggio nei Dardanelli. Ed è ancora la strategia mediterranea a guidare le mosse della Russia in Libia e in Nord Africa. Ecco perché, per la Nato, il fianco Sud è una priorità.

La guerra in Ucraina drena uomini, soldi e risorse a Mosca. I russi sono ancora in grado di sostenere le loro missioni per procura nella regione mediterranea?

Lo saranno sempre meno. Putin ha costruito intorno a sé un’immagine di infallibilità, di giocatore di scacchi. Questo culto negli anni ha perso pezzi e in Ucraina si dissolve: la Russia sta perdendo una spaventosa quantità di uomini e mezzi sul campo. Ha avuto la fortuna di far attraversare i Dardanelli a una nave-rifornimento prima che Erdogan li chiudesse, ma prima o poi queste risorse finiranno. Investire le stesse energie nel Mediterraneo ora non sarà più facile.

Da dove inizia il declino?

L’abilità di Mosca di proiettare influenza e potere in quadranti come quello africano è destinata a diminuire. Penso ai mercenari del gruppo Wagner, una parte dei quali è stata schierata in Ucraina. Ma non illudiamoci: molti dei Paesi interessati dalle operazioni di Mosca continueranno a guardare con favore ai russi per motivi di opportunità.

Quali sono oggi le principali minacce di origine russa con cui Europa e Stati Uniti devono fare i conti nel Mediterraneo allargato?

Partiamo da un presupposto: gli interessi della Russia in Africa del Nord e in Medio Oriente sono inerentemente opposti a quelli di Europa e Stati Uniti. La Russia crea instabilità, prospera dove c’è caos. Quando un Paese è stabile non chiama Mosca. Faccio un esempio concreto.

Prego.

Washington lavora perché l’energia sia estratta e commerciata liberamente nella regione, Mosca vuole che i prezzi salgano per avere una quota più ampia di profitto e una più incisiva influenza sui Paesi acquirenti. Due anni fa è nato da qui uno scontro tra Russia e i Paesi dell’Opec plus sul prezzo del petrolio.

Le potrei fare l’esempio dell’Iraq: anche gli Stati Uniti hanno destabilizzato la regione.

Senz’altro. E infatti la guerra in Iraq, a mio avviso un grave errore strategico, ha invertito cinquant’anni di politica americana nella regione e ha dato alla Russia un vantaggio che non aveva. Ora Mosca è tornata in quel quadrante e trae forza da questa instabilità. E infatti ai Paesi della regione vende solo due cose: armi e merci a basso costo come il grano, cioè nulla che aiuti davvero la crescita economica.

Il grano ora è fermo nei granai: che effetto avrà in quadranti come quello africano la crisi globale alimentare scatenata dalla guerra di Putin in Ucraina?

Gravi, nel medio periodo. Non è un problema di quantità: di questi beni ci sarà sempre disponibilità, i mercati globali sono resilienti e flessibili. È un problema di prezzi: i tempi per la produzione si allungano insieme alle supply chain e questo ha un enorme impatto sui costi, specie per i Paesi in via di sviluppo.

Chi ne può trarre vantaggio?

La Cina, ad esempio, potrà trascinare con più facilità questi Paesi nella trappola del debito. È una strategia consolidata, non solo in Africa. Starà all’Occidente costruire una via alternativa per non finire tra le braccia di Pechino.

A proposito: su alcuni di questi Paesi il governo italiano ha scommesso la sua transizione energetica dalla Russia, sia in Nord Africa che nel Sahel e nel Corno d’Africa. È una scommessa rischiosa?

Dipendere da un altro Paese è sempre rischioso, specie se si tratta di uno Stato che vive una condizione di instabilità politica ed economica. Una via d’uscita c’è: diversificare per quanto possibile i rifornimenti. E nel frattempo massimizzare la produzione domestica per avere una riserva con cui affrontare un futuro shock.

Tra i partner energetici africani dell’Italia c’è storicamente la Libia, che continua ad essere una spirale di instabilità. Credere nelle elezioni e in un futuro democratico è stata un’illusione europea?

Sono tempi difficili per gli ottimisti in Libia. Negli ultimi anni il Paese è diventato un coacervo di interessi di potenze esterne. L’Occidente paga oggi il prezzo di non aver saputo trovare una strategia comune. A questo si aggiunge un disimpegno relativo degli Stati Uniti.

C’è un Paese europeo che pesa davvero sul destino libico?

La Turchia. E ha peso perché è presente sul campo e non si è limitata a parlare. Si può accettare o meno l’approccio ma è un dato di fatto: non so se c’è stato un tempo in cui i discorsi e le conferenze sulla Libia davano peso e influenza ai Paesi europei, ma di certo quel tempo è finito. Dopotutto, è la lezione che stiamo imparando in Ucraina.

Ovvero?

Il potere militare, l’hard power, conta ancora, e conta ancor di più la volontà di farne uso. È la storia dell’umanità, solo che facciamo finta di non vedere.

A proposito di Turchia. Crede che il veto sull’entrata di Svezia e Finlandia nella Nato si possa superare?

Erdogan farà di tutto per trarre vantaggio dai negoziati. Lo fa sempre, sul piano domestico e in politica estera. Un no irrevocabile all’adesione di Stoccolma ed Helsinki sarebbe una sorpresa.

È un bluff?

Presto per dirlo. Già in passato Erdogan è stato scambiato per bluffatore e invece ha fatto sul serio. Nessuno pensava che Ankara avrebbe comprato davvero il sistema anti-missilistico russo S-400, ed è andata esattamente così. Mai sottovalutare Erdogan.


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