Intervista all’ambasciatore e presidente dell’Ispi: Draghi a Washington in una missione europea, l’Italia ha un governo che parla di scelte chiare. Propaganda russa? Non siamo un colabrodo ma c’è un problema culturale. Bisogna prepararsi al dopoguerra e al nuovo ordine di sicurezza in Europa
Una missione europea, con lo sguardo già proiettato al dopoguerra. Questa la lente con cui Giampiero Massolo, ambasciatore e presidente dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) legge la due giorni del presidente del Consiglio Mario Draghi a Washington DC.
Perché questa non è una visita qualunque?
Perché abbiamo bisogno di coordinamento fra alleati. Un coordinamento sui costi crescenti che l’Occidente deve far pagare a Putin per far fallire la sua scommessa con la guerra in Ucraina.
Come si ferma la guerra?
La guerra si fermerà quando Putin giudicherà che il rapporto costi benefici gli è sfavorevole: la decisione è nelle mani dell’aggressore.
Europa e Stati Uniti hanno superato la prova finora?
L’Occidente ha dato prova di compattezza, ma il passare del tempo può incrinarla. C’è bisogno di un piano d’azione sulle nuove sanzioni per colpire la Russia, con un sistema che non diventi un boomerang eccessivo per chi le applica.
L’Europa paga il prezzo più alto…
Gli americani lo sanno e infatti capiscono che serviranno tempi minimi per adeguarsi e per trovare una quadra politica tra alleati. Non sarà facile, a giudicare dal dibattito sul bando del petrolio in seno al Consiglio europeo.
Non solo energia. C’è il nodo delle forniture militari…
Qui l’assunto di base è semplice: a Kiev devono essere fornite le armi più adatte per resistere alla guerra di aggressione in questa specifica fase. È fondamentale che il fronte occidentale sia unito ed evitare che queste potenziali linee di faglia – energia, forniture, sanzioni – si approfondiscano.
A Washington Draghi dà prova di atlantismo, a Roma il Parlamento litiga sul sostegno a Kiev. Che immagine dà all’estero questa doppiezza italiana?
Sappiamo che spesso i governi italiani sono soggetti a giri di valzer in politica estera. Ma se si escludono queste momentanee giravolte l’Italia ha sempre dato prova di solidarietà e fedeltà alle alleanze e all’Occidente ogni volta che è stata chiamata a farlo.
Giornali, tv, social network. C’è chi dice che in Italia la propaganda russa fa scuola.
Sì, i russi fanno propaganda in Italia, come in tante altre parti. Ma non siamo un colabrodo, il corpo del Paese è sano. C’è piuttosto un problema culturale.
Quale?
L’Italia è un Paese scettico per cultura. Un po’ cinico, un po’ pacifista di maniera, tutto sommato non molto attento a quel che succede fuori dai suoi confini nazionali. E spesso i governi non hanno avuto la forza e la determinazione di dire le cose come stanno.
È così anche oggi?
Oggi c’è un governo che dice al Paese che ci sono scelte da fare. Che la libertà ha un prezzo, che la sicurezza non è gratis. Che esistono aggressori e contro di loro bisogna combattere. Con questo governo Draghi si è presentato a Washington.
Nello Studio Ovale Draghi ha parlato da leader europeo. Qual è il vero obiettivo di questa due giorni americana?
Una missione fondamentale è parlare con franchezza insieme agli alleati di quale sia l’end-game di questa guerra. Sulle basi nessun dubbio: c’è un aggressore e un aggredito che va aiutato.
A quale scenario bisogna prepararsi?
È bene immaginare da ora come prepararsi al dopoguerra. Ci sarà un ordine di sicurezza europeo da ricostruire. Che non si potrà basare più sulla cooperazione ma sulla deterrenza e, purtroppo, sulla tensione.