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Un Mediterraneo allargato a guida Ue secondo Med-Or e Atlantic Council

Idee, visioni e analisi sulla regione in cui l’Italia proietta la propria politica estera. L’evento organizzato da Fondazione Med-Or e Atlantic Council sul futuro del Mediterraneo allargato con Marco Minniti, William Wechsler, Alessia Melcangi, Karim Mezran e Riccardo Redaelli

La guerra russa in Ucraina è esplosa in un momento particolare per il mondo, la faticosa ripresa post pandemia, non ancora del tutto risolta. Ma il conflitto arriva anche mentre dinamiche globali stavano già emergendo con tutti i loro effetti: lo scontro tra potenze, la crisi climatica e la transizione energetica, le catene di approvvigionamento sotto stress. Questioni enormi che una regione del mondo — con le sue complessità e la sua centralità — rischia di subire più di altre: il Medio Oriente.

Non a caso la Fondazione Med-Or dedica oggi un panel di dibattito dal titolo eloquente: “Il Medio Oriente nel nuovo Disordine Geopolitico”, promosso insieme all’Atlantic Council di Washington. Med-Or nasce per iniziativa di Leonardo Spa nella primavera del 2021 con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica, al fine di rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”).

“La Russia è tornata di nuovo in Medio Oriente, insieme alla Cina”, fa notare William Wechsler — direttore del Rafiki Center dell’Atlantic Council e di tutti i programmi sul Medio Oriente del think tank washingtonians — spiegando che “i vuoti che abbiamo lasciato sono stati riempiti”.

Il sistema internazionale è in profondo mutamento, emerge dal dibattito, e in queste evoluzioni il Mediterraneo allargato è uno dei teatri geopolitici più contesi, anche a causa della percezione di ritiro degli Stati Uniti. E in politica estera i vuoti non esistono, ma vengono riempiti sottolinea Riccardo Redaelli, professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

“La Cina sta arrivando nel Mediterraneo alla ‘Chinese way’: prudente, evita conflitti, stringe legami economici”, spiega Redaelli, e riempie appunto quei vuoti. Per questo, gli Stati Uniti “dovrebbero convincersi che stare nel Mediterraneo è fondamentale” grazie alla centralità che questa regione ha sempre avuto. È il tema della cooperazione e dell’alleanza tra Usa ed Europa, con quest’ultima che ha più che mai necessità di allineare policy e strategie con quelle americane, ma anche di costruirsi una dimensione propria.

“Nell’ultimo decennio l’Ue ha avuto una passività e disattenzione gravissima verso il Mediterraneo. Abbiamo fatto finta non esistesse”, sottolinea Redaelli, a cui fa eco Karim Mezran, direttore del programma Nord Africa dell’Atlantic Council, evidenziando la necessità di un nuovo impegno, coinvolgimento, in definitiva un nuovo progetto europeo, ossia Ue. La ritrovata centralità del Mediterraneo ha un forte peso geopolitico e geoeconomico, l’1 per cento dell’acqua mondiale ospita il 15 per cento del commercio marittimo. Questa centralità richiede una visione a lungo termine, mentre i problemi sul suo fronte meridionale hanno mostrato i limiti dell’Ue come attore geopolitico.

“Serve un nuovo progetto europeo per il Medio Oriente: un partenariato in cui noi promettiamo soldi ad autocrati perché fingano di adeguarsi ai nostri valori non funziona” aggiunge Redaelli: “Gli Stati membri competono e alla metà di loro non interessa cosa sta succedendo nel Mediterraneo”. Su questo nuovo progetto, l’Italia nello specifico dovrebbe — secondo l’idea di Redaelli — fondare la propria strategia su due pilastri: “uno europeo e uno euro-atlantico”. Torna ancora il tema del coinvolgimento americano.

“C’è un’opportunità per gli Stati Uniti di influenzare la situazione in Medio Oriente. Credo che stiamo andando in quella direzione. Ovviamente il presidente Joe Biden dovrebbe andare a Riad nei prossimi mesi”, sostiene Wechsler, facendo riferimento alla visita dell’americano in Arabia Saudita per incontrare l’erede al trono Mohammed bin Salman, dopo che le relazioni tra i due alleati sono scivolate negli ultimi mesi. Per lui, la percezione di un’uscita american dalla regione è in parte distorta.

Gli Stati Uniti potrebbero aver riscoperto la centralità della regione in questa fase in cui i Paesi europei stanno faticosamente cercando di sganciarsi dalla dipendenza energetica russa, e proprio in Medio Oriente e Nord Africa si trovano i fornitori per permettere questa differenziazione. “Gli obiettivi della Russia nel Mediterraneo sono sempre stati chiari. Anche dopo la guerra, rimarrà un attore chiave nell’area […] Questa è un’opportunità per [Western ] di collaborazione”, aggiunge Wechsler.

Il tema energia è complesso, diventa anche un fattore di rischio e di equilibri interni. “Prendiamo il Mediterraneo orientale, per esempio: ospita enormi risorse energetiche, ma molto credono che sarà l’occhio della tempesta perfetta, avendo stimolato molte delle tensioni che hanno ostacolato gli sforzi congiunti per la sicurezza e l’energia”, spiega Alessia Melcangi, Professoressa Associata alla Sapienza Università di Roma e Non resident Senior Fellow per i Middle East Programs presso l’Atlantic Council.

Marco Minniti, presidente della Fondazione Med-Or sottolinea come “a lungo [in Europa] abbiamo affrontato le turbolenze del mondo seguendo il motto: occhio non vede, cuore non duole”, ma questo ha esposto l’Ue a una sorta di debolezza. “Se osserviamo da vicino ciò che sta accadendo in Ucraina, possiamo vedere che molte delle sue cause sottostanti sono collegate all’area mediterranea più ampia”, aggiunge e queste potrebbero avere effetti diretti sulla stabilità europea. “L’incombente crisi alimentare mediterranea — continua — può diventare una crisi sociale, che può generare tensioni politiche, capaci di causare crisi umanitarie, che possono essere esercitate da attori cinici per creare pressioni”.

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