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Meloni e l’interesse nazionale. Una sfida per (tutti) i partiti

Superiamo il dibattito stanco sul “sovranismo” e guardiamo alla vera sfida che attende al varco Giorgia Meloni. Dietro le sue ambizioni di leadership c’è una battaglia delle idee sul senso stesso di interesse nazionale e sul rapporto fra Stato e cittadini che riguarda tutti i partiti. Il commento di Francesco Sisci

Nel recente convegno di Fratelli d’Italia a Milano il suo leader Giorgia Meloni ha posto con forza il problema della posizione politica e morale del Paese. Per questo le sono piovute anche accuse di “sovranismo”.

Eppure, al di là della correttezza di questa o quella sigla, la questione vera è quella dell’interesse nazionale. Essa è cosa che riguarda tutti i partiti, che lo ammettano o meno, e su cui tutti i partiti dovrebbero trovare un accordo. La nazione è e dovrebbe essere unificante sulle sue parti, ergo partiti.

Quindi, quale Italia vogliamo ora che siamo all’uscita del Covid e trascinati dalla Russia di Vladimir Putin in una guerra in Ucraina? Per rispondere bisogna fare un passo indietro e capire cosa sia l’Italia oggi.

Gli italiani non si fidano dello Stato; lo Stato non si fida degli italiani; e gli italiani non si fidano degli stessi italiani. Ciò si vede in quello che i cittadini fanno con i loro soldi, la prova più vera e concreta della loro lealtà. Gli italiani evadono le tasse, perché sono troppo alte e non si fidano di come lo stato spenderà il ricevuto. Lo Stato non si fida degli italiani, e quindi è a caccia permanente dell’evasione fiscale, sapendo o credendo che qualunque italiano potendo si sottrae al fisco.

Infine gli italiani, unici fra i Paesi sviluppati, esportano capitale finanziario, cioè non investono in Italia e nella sua Borsa ma preferiscono prodotti finanziari stranieri. Questo porta il paradosso che è ben evidente dall’estero: lo stato italiano è povero e indebitato ma gli italiani sono ricchi. Così in teoria gli Italiani possono risolvere la situazione in casa e gli converrebbe. Saldare almeno in parte il debito pubblico farebbe aumentare il valore complessivo del “bond Italia”.

Cioè le case, le aziende, i marchi italiani si apprezzerebbero. Ma per ripagare il debito serve una fiducia sociale che risponda a questa equazione: io pago e così farà anche il mio vicino. Senza fiducia che il vicino farà la sua parte temo invece che a pagare io sia “fesso” (massimo insulto nel Paese) e lui sia “paraculo” (massima virtù nazionale).

C’è in altre parole un problema sistemico di mancanza di fiducia reciproca e nello Stato. Se non si affronta tale problema sorgivo della fiducia sociale ogni tentativo di affrontare la questione della burocrazia pletorica e inefficiente, della tassazione eccessiva, della giustizia formalista e punitiva, sarà come mettere una toppa. Ci sarà un effetto temporaneo, ma le toppe non risolvono il buco, anzi lo approfondiscono e i problemi torneranno dopo con gli interessi.

L’incognita della fiducia si risolve solo indicando un destino comune al paese, dando un senso per cui gli italiani devono stare insieme e in uno Stato. Altrimenti c’è l’ognuno per sé, il particulare di Guicciardini che si opponeva con scetticismo realista ai sogni di realismo politico di Machiavelli.

Qui il destino dell’Italia non va inventato di sana pianta, va semplicemente visto nella sua evidenza. Esso è nella sua geografia: è al centro del Mediterraneo che è poi al centro del mondo, fisicamente e culturalmente, perché culla della civiltà occidentale, dai Greci ai Romani al Rinascimento, e cuore della cristianità con la Santa sede.

Proprio perché carica di così tanto peso, la storia non va semplicemente rispolverata ma ripensata nella visione di un mondo che si è allargato fuori dai vecchi orizzonti Mediterranei. Inoltre va riconosciuto che l’Italia non ha né avrà nel prossimo futuro una forza politica, economica e militare per essere un centro gravitazionale autonomo.

Può però fare leva sui suoi vantaggi geografici, culturali e storici per offrirli alla superpotenza attuale, l’America, e all’Europa. Con entrambi peraltro l’Italia ha accordi non banali, è nella Nato ed è nella Ue. Se coinvolge attivamente i suoi partner l’Italia riprende una centralità. Ma questo non è gratis né facile, alla luce di tanti anni di politiche disordinate. Né può essere annunciato con trattati, ricevimenti a palazzo e sfilate di corazzieri.

Questa centralità può avvenire su progetti concreti che oggi non possono che essere infrastrutturali. Il successo politico enorme, al di là delle sue considerazioni strategiche, dell’idea della nuova via della seta cinese prova che il rilancio moderno di concetti antichi di comunicazione è fondamentale oggi.

Cioè si deve lanciare un progetto di infrastrutture Oslo-Città del Capo che passi dalla Sicilia e dal passaggio in Tunisia. Ciò va fatto in stretto coordinamento con gli Stati uniti. Le guerre puniche dei romani arrivavano dopo secoli in cui greci e fenici si erano contesi il controllo della Sicilia e della moderna Tunisia. Greci e fenici lottarono fra di loro senza soluzioni chiare. L’Isola restò spaccata con una punta orientale fenicia e il centro e la parte occidentale greca.

Nella prima guerra punica i romani riuscirono per la prima volta a prendere il controllo unico della Sicilia, ma non bastava. Ci vollero altre due guerre perché i Romani affermassero il proprio potere su Cartagine, distruggendola e prendendo il controllo del Nord Africa. Da quel tratto di terra e mare passava il potere su Europa, Africa e Asia.

La scoperta dell’America e delle rotte per l’Asia da Ovest hanno marginalizzato il Mediterraneo. Ma la Via della Seta e gli investimenti cinesi e asiatici in Africa e in Asia hanno rimesso in moto il Mediterraneo. Qui è fondamentale coinvolgere il più possibile gli Stati uniti e neppure pensare a volerli marginalizzare. Sarebbe del resto impossibile oltre che profondamente ingiusto.

Per attuare allora una nuova politica interna serve una comprensione vera e profonda della politica estera.
Ciò vale nel lungo, la Oslo-Città del capo, e nel breve periodo – la guerra in Ucraina. Le infrastrutture possono e devono portare pace e benessere, utilità per tutti, senza escludere alcuno. Così una volta avviate possono sostenersi da sole senza continue spinte.

Invece l’invasione russa, che vuole affermare con la guerra interessi vaghi, di “imperio”, non di benessere e utilità collettiva, oggettivamente è un sabotaggio di ogni interesse complessivo. È un sabotaggio contro chi vuole in primo luogo stare meglio e vivere in pace. Ed è un attentato come nessun altro agli interessi dell’Italia e degli italiani.

Certo, il commerciante di scarpe e mele oggi è danneggiato dal fatto di non poter vendere il suo prodotto a Mosca. Le famiglie che ora pagano di più il gas non si ricordano dei vecchi patti, palesi o nascosti, legati a quel gas. Quindi se a loro si chiede un sacrificio per la libertà degli ucraini, quando questi italiani non si sacrificano nemmeno per altri italiani e per lo stato italiano, tutto cade. L’Italia semplicemente si sfarina.

Serve un nuovo contratto sociale nel Paese, che passi con un nuovo contratto politico con gli Usa per la Oslo-Città del Capo.
La signora Meloni ha posto il problema degli interessi nazionali e questi non possono che consolidarsi qui. Sta ai partiti raccogliere la sfida della Meloni o lasciarla da sola sul suo cammino.



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