Skip to main content

Dall’Artico al Sahel, l’obiettivo di Mosca è l’Europa. Il punto di Manciulli

Putin vuole destabilizzare il Vecchio continente, e lo fa accerchiando l’Europa dall’Artico al Sahel e proponendo una visione sovranista e autoritaria incompatibile con i valori di democrazia e libertà dell’Occidente. Ad Airpress, il punto del presidente Europa Atlantica, Andrea Manciulli

L’obiettivo di Mosca è soprattutto destabilizzare l’Europa, e l’invasione Ucraina fa parte di una strategia di accerchiamento che dall’Artico arriva fino al Maghreb, passando per il Sahel. Il confronto, però, è anche ideologico, con la Russia che ambisce a imporre i propri ideali, incompatibili con i valori di democrazia e libertà occidentali. In questo senso, è necessario che la politica torni ad assumersi le sue responsabilità spiegando ai cittadini le necessità di difesa per il benessere comune. Ne parla ad Airpress il presidente di EuropaAtlantica, Andrea Manciulli.

Il conflitto in Ucraina ha ormai superato il terzo mese di guerra, con l’offensiva russa che si concentra ora nel sud del Paese. Fallita la prima fase dell’invasione, quali potrebbero essere ora gli obiettivi di Mosca?

In Ucraina la Russia è coinvolta in una guerra terrestre di stampo classico. Per Mosca questo è un problema, dal momento che in questo tipo di confrontazioni è avvantaggiata la difesa. Gli ucraini, poi, hanno potuto fare affidamento sull’aiuto dell’Occidente, in particolare sulle difese anticarro e antiaeree all’avanguardia sfruttate con grande efficacia: le Forze armate di Kiev sono riuscite a colpire elementi centrali nella catena logistica e di comando dell’invasore. Dal punto di vista strategico, i russi si stanno consolidando a sud, nel tentativo di togliere all’Ucraina lo sbocco sul mare. Se il disegno di Mosca si dovesse concretizzare, sarebbe un duro colpo per il Paese, limitandone l’orizzonte strategico e rendendo più difficile la ricostruzione. A questo, si accompagna lo spettro di una escalation, coltivata anche a livello mediatico dal Cremlino come forma di pressione sull’Occidente.

L’assertività russa sul piano internazionale risale a ben prima della guerra, con un suo coinvolgimento anche in altri teatri, diversi dal suo immediato vicinato, dall’Artico al Medio Oriente e all’Africa. Qual è il disegno di lungo periodo del Cremlino?

La strategia russa è fatta di molti segmenti. Un primo obiettivo è stato esercitare un controllo sulle regioni vicine, penso al Caucaso, alla vicenda georgiana, non da ultima l’Ucraina e, forse un domani, la Transnistria. L’Artico è uno scenario strategico importantissimo di cui ci si occupa sempre troppo poco. Lo scioglimento dei ghiacci renderà questa regione sempre più navigabile e accessibile, liberando anche le ricche riserve di idrocarburi lì presenti. È un’enorme piattaforma logistica capace di stravolgere l’economia globale. La Russia, e in seconda battuta anche la Cina, hanno adottato un atteggiamento invasivo, se non addirittura preclusivo, di quest’aerea, una posizione che va a danno soprattutto dell’Europa, che ha nell’Artico interessi diretti. A tutti questi scenari vanno aggiunti anche fronti solo apparentemente più lontani, dal Medio Oriente all’Africa, che fanno parte di una gigantesca manovra “a tenaglia” tesa a circondare l’Europa.

Dal Sahel, in particolare, arrivano notizie preoccupanti circa l’aumento delle attività e della presenza russa in una regione strategica per le dinamiche geopolitiche attuali e future…

Nel Maghreb è ormai abbastanza evidente come l’azione di Mosca sia stata pianificata con attenzione per condizionare lo sviluppo dell’area. La fascia che va dal Maghreb al Corno d’Africa è attraversata da instabilità locali e problemi cronici, dai cambiamenti climatici, alla penuria d’acqua, fino al traffico di esseri umani e le rotte del terrorismo transnazionale, senza dimenticare il peso economico della regione, ricca di terre rare e di uranio, indispensabili per l’economia globale. Mosca vuole sfruttare queste fragilità per mettere pressione direttamente dell’Europa. Di fatto, la presenza russa nel Sahel mette nelle mani di Putin i rubinetti di fenomeni altamente destabilizzanti in grado di impattare sull’Europa e, di conseguenza, sul nostro Paese.

In Africa, e non solo, si registra anche l’incremento delle attività dei mercenari russi, in particolare del Gruppo Wagner. Che ruolo hanno queste formazioni “para-militari” nella strategia di Mosca?

La Russia sta impiegando, oltre ai mercenari della Wagner, anche milizie locali, talvolta afferenti a organizzazioni terroristiche, per inserirsi e interporsi nelle varie dinamiche regionali, sfruttando con attenzione gli spazi vuoti lasciati dall’Occidente. Gli errori commessi in Nord Africa e nel Sahel dai Paesi europei, cito a titolo d’esempio la deleteria rivalità che ha coinvolto il nostro Paese e la Francia, o la cacciata dell’ambasciatore di Parigi dal Mali, hanno dato ampio margine di manovra a Mosca. Il Cremlino, poi, ha dimostrato di fare uso dei gruppi paramilitari affiliati a organizzazioni terroristiche anche in regioni più vicine a noi.

Ci spieghi meglio.

Per fare un esempio, alcuni miliziani siriani attualmente combattono in Ucraina. Non è la prima volta che Mosca impiega questo tipo di foreign fighters, com’è stato il caso dei combattenti islamisti impiegati nei Balcani. Queste cose nel tempo producono sempre una recrudescenza del fenomeno terroristico anche in altre regioni. L’uso che Putin sta facendo dei battaglioni di ceceni in Ucraina lascia pensare che questi elementi potranno essere usati in futuro per destabilizzare l’Europa anche dall’interno. Una minaccia che non va sottovalutata.

L’obiettivo sembra essere sempre l’Europa, dunque?

Tutta la strategia russa ha come obiettivo tenere sotto scacco l’Europa, il vero bersaglio dell’azione di Mosca, molto più che gli Stati Uniti. In questo sta anche l’errore che commette certa retorica antiamericana, secondo cui l’aggressività russa sia una reazione a una percepita “minaccia” proveniente variamente da Washington o dalla Nato. Ed è sempre per questi motivi che è assolutamente miope considerare la guerra in Ucraina un “problema loro”, così come non riflettere sulle mire russe in Africa e nel Mediterraneo allargato. L’Europa e l’Italia non possono considerarsi immuni da queste manovre.

La Russia ha anche lanciato una campagna di disinformazione e propaganda a livello globale, che risale a ben prima dell’invasione. Qual è l’obiettivo di Mosca?

La Russia vuole avere un ruolo di preminenza nel Vecchio continente, e per raggiungere lo scopo vuole disgregare il concetto stesso di Europa, sostituito da una lettura esasperatamente nazionalista. Un’azione di propaganda e “soft power” che, purtroppo, ha visto nell’Italia uno dei suoi epicentri. Putin ha imposto all’interno della stessa Russia un’idea identitaria del popolo slavo basato su religione, patria e lingua. Dalla Russia, questa idea è stata traslata anche in altri Paesi, dapprima “vicini” come i Balcani (specialmente la Serbia), e poi passato anche ad altri Stati europei, come l’Ungheria e anche l’Italia. Elementi critici del modello occidentale, basato su democrazia e libertà, li abbiamo visti nei gilè gialli, nei movimenti no-vax, e in alcune forme di sovranismo politico. Le recenti elezioni francesi hanno visto plasticamente rappresentato la sfida tra sovranismo e forze democratiche. Tutte queste tendenze sono state alimentate scientemente dalla Russia attraverso i social network e i contatti tenuti in questi anni dal partito di Putin e le formazioni politiche sovraniste del Vecchio continente. La pandemia è la guerra in Ucraina stanno rianimando un sentimento forte di Europa, ma la sfida non è vinta.

Quali contromisure dovrebbero mettere in campo l’Europa e l’Occidente nel suo complesso?

Per prima cosa, l’Europa non deve dividersi, ricordandosi che la sfida per la democrazia e la libertà è la stessa per tutti, al di là delle contingenze. Quella che si sta svolgendo ora è una battaglia innanzitutto ideologica, tra i valori della democrazia e quelli dell’autocrazia. Ora il rischio è quello di aver “burocraticizzato” troppo gli ideali alla base dell’Europa, dobbiamo renderli di nuovo attuali. In secondo luogo, il Vecchio continente deve spingere affinché si abbatta questo nuovo muro di indifferenza e di equidistanza a livello globale, e ci vorrà un’azione politica complessa e robusta messa in campo dall’Europa e da tutto l’Occidente.

E per quanto riguarda la Difesa europea?

La priorità è certamente farla in armonia con la Nato, ma è un obiettivo indispensabile, bisogna abbandonare l’idea che la Difesa europea sia impossibile. Questo naturalmente vorrà dire investire di più, semplificando ed evitando duplicazioni. Investire di più e meglio, dunque, concentrandosi sulle tecnologie emergenti, dal cyber alle difese antimissilistiche all’avanguardia. Per far ciò è innanzitutto necessario un discorso politico che smetta di assecondare la pancia dei cittadini, ma che spieghi loro le necessità per il benessere comune. Una politica che torni ad assumersi le sue responsabilità.



×

Iscriviti alla newsletter