Dietro il summit tra la premier finlandese Marin e Mario Draghi a Palazzo Chigi una scommessa italiana di Helsinki. La Finlandia cerca l’endorsement dell’ex capo della Bce per l’adesione alla Nato e una buona parola di Roma con Erdogan. Sul tavolo il pugno duro sulle sanzioni Ue (anche con Conte e Letta)
La Finlandia bussa alla porta della Nato. Prima, però, bussa alla porta di Mario Draghi. Il bilaterale tra il presidente del Consiglio italiano e la premier finlandese Sanna Marin a Palazzo Chigi questo mercoledì ha avuto i riflettori della comunità internazionale addosso.
A due giorni dal semaforo verde del Parlamento finlandese per la richiesta di adesione alla Nato – di pari passo a una medesima decisione del Parlamento svedese – Helsinki guarda a Roma per trovare una sponda. In questa congiuntura storica, anzi epocale, si è inserita la visita ufficiale in Italia. Che è arrivata con perfetto tempismo sulla scaletta. Perché se è vero che, a parole, l’Alleanza atlantica ha pronto un tappeto rosso per i due Paesi scandinavi decisi a issare per la prima volta l’ombrello di sicurezza dell’articolo 5, è anche vero che la strada per l’adesione è lastricata di buone intenzioni.
Di qui la tappa italiana di Marin, la più giovane premier in carica al mondo, donna e madre che ha sfidato Vladimir Putin e decenni di politica neutralista del suo Paese di fronte all’orrore della guerra russa in Ucraina. Con l’obiettivo di un endorsement pieno, pubblico all’adesione finlandese da parte di Draghi, tra i più autorevoli leader europei, forte di una visita di successo alla Casa Bianca di Joe Biden. E capofila di quel fianco Sud della Nato che ora rischia, senza i dovuti accorgimenti, di rimanere in parte scoperto con lo spostamento del baricentro verso i mari freddi del Nord.
L’endorsement non si è fatto attendere: a Palazzo Chigi Draghi ha schierato Roma tra i Paesi che plaudono all’adesione finlandese. L’assist vale doppio, perché l’Italia è oggi tra i Paesi europei più vicini alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, pilastro della Nato nel Mediterraneo orientale e unico oppositore all’adesione di Svezia e Finlandia. L’ostruzionismo di Ankara, giustificato con la presunta simpatia di Helsinki e Stoccolma verso i “terroristi” dello Ypg, potrebbe puntare a una trattativa – magari sulla partita dei caccia F-16 che il Congresso americano tiene in sospeso – ma basta a preoccupare i due Paesi nordici. E se è vero, come si affretta a precisare il governo Marin, che “la Finlandia ha buoni rapporti con la Turchia” e “i canali diplomatici sono al lavoro”, è anche vero che Helsinki non disprezzerebbe una chiamata di Draghi al “sultano”.
Il tempo stringe, Svezia e Finlandia vogliono provare a chiudere le pratiche entro fine giugno, con un’adesione simbolica celebrata dal Summit Nato a Madrid, che introdurrà il nuovo Concetto strategico. In mezzo c’è quella che i diplomatici scandinavi chiamano “zona grigia”. Cioè un periodo di transizione che lascia esposti alle minacce russe – ribadite da Putin e dai suoi consiglieri in questi giorni – prima che scatti l’articolo 5.
Helsinki non crede a un’azione militare diretta, ma dà per probabile un attacco “ibrido”, ad esempio cibernetico, contro il quale nulla può neanche l’accordo di sicurezza collettivo appena firmato con il Regno Unito di Boris Johnson. Di qui l’urgenza di suonare un campanello di solidarietà europea, ricordando che nei Trattati Ue c’è già un articolo sulla sicurezza dei Paesi membri in caso di attacco, il 42 comma 7 del Trattato sull’Unione europea (Tue), che in caso di aggressione esterna richiede agli altri Stati membri di prestare aiuto all’aggredito “con tutti i mezzi in loro possesso”.
L’altro dossier sul tavolo a Roma ha toccato il nervo scoperto delle sanzioni. Mentre a Bruxelles prosegue lo stallo per mettere al bando il petrolio russo, la Finlandia, punta di lancia degli hardliner, tira per la giacchetta l’Italia chiedendo un più deciso contributo all’isolamento dell’economia russa: petrolio oggi, gas non appena possibile.
Marin però non ha trascorso la sua giornata italiana solo a Palazzo Chigi. Nell’agenda della leader dei socialdemocratici finlandesi c’è stato spazio per un pranzo insolito per una visita di Stato. Seduti dall’altra parte in ambasciata i due ex premier Giuseppe Conte ed Enrico Letta, leader dei due partiti che in Italia sognano il campo progressista, Cinque Stelle e Pd. Un faccia a faccia politico, dunque, da cui al di là delle sintonie partitiche non saranno restate fuori le divergenze di vedute sulla guerra in Ucraina. Ad Helsinki i socialdemocratici hanno detto sì, senza ma, all’invio di armi alla resistenza di Kiev e al salto nella Nato. A Roma i Cinque Stelle tirano il freno e promettono di bloccare i rifornimenti con un blitz in Parlamento. Chissà che la tavola non abbia messo tutti d’accordo.