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No, caro Orsini. Hitler cercava la guerra. Il punto di Alegi

Assolvere Hitler per tenere la Finlandia fuori dalla Nato non è un paradosso politico, ma una figuraccia storica. A scatenare il conflitto nel 1939 non furono le alleanze della Polonia, ma il desiderio di espansione verso Est della Germania alla ricerca di un presunto “spazio vitale”. Tutto annunciato nel protocollo di Hossbach del novembre 1937. La vera lezione è che non c’è diplomazia che possa fermare chi ha già un’agenda stabilita, per quanto irrazionale. L’analisi dello storico Gregory Alegi

“A differenza di quello che moltissimi pensano, la Seconda guerra mondiale non è scoppiata perché Hitler a un certo punto, deliberatamente, ha deciso di attaccare Inghilterra, Francia, Polonia e Russia”. Così Alessandro Orsini ha introdotto il proprio ragionamento contro l’ammissione di Finlandia e Svezia nella Nato. Secondo il sociologo, “Hitler non aveva intenzione di far scoppiare la seconda guerra mondiale” e il conflitto fu causato dall’alleanza tra la Polonia attaccata, la Gran Bretagna e la Francia. “Si creò un effetto domino, a cui Hitler non aveva interesse e che Hitler non si aspettava nemmeno che scattasse”.

Non è dato sapere i “moltissimi” siano da ricercarsi nella “gente” (gli “hoi polloi”, come si diceva una volta con la spocchia del liceo classico) o nella comunità degli storici. Sta di fatto che le cose non sono andate come dice Orsini e che lo studente che lo sostenesse ne uscirebbe con un voto di quelli che abbassano parecchio la media. Perché dirlo significa essersi presentati all’esame avendo letto solo l’ultima pagina del manuale, sperando che il professore non se ne accorga.

In altre parole, è vero che Francia e Gran Bretagna si erano impegnate a tutelare l’integrità territoriale e politica della Polonia. Ed è altrettanto vero che Hitler non si aspettava che mantenessero l’impegno, così come negli anni precedenti non erano intervenute in difesa di Austria e Cecoslovacchia, che anzi avevano contribuito a smembrare. In compenso, è sbagliato tutto il resto.

Un’espansione venuta da lontano

Proprio per garantirsi una copertura a est, il 23 agosto 1939 la Germania e l’Urss (e non “la Russia”) avevano siglato un patto di non aggressione che consentiva a Stalin di occupare la parte orientale della Polonia, la Bessarabia (la regione tra Prut e Nistro, oggi divisa tra Moldavia e Ucraina), Estonia, Lettonia e Finlandia. Fu solo due giorni dopo che la Gran Bretagna dichiarò la propria alleanza con la Polonia, senza peraltro rinunciare a trattare con la Germania per l’avvio di negoziati diretti con la Polonia. Persino Mussolini offrì la propria mediazione. Nonostante questo, il 1° settembre 1939 la Germania attaccò la Polonia, senza neppure dichiararle guerra.

Ma anche se le cose non fossero andate come sono andate, per smentire (“falsificare”, nel senso che del termine dava Karl Popper) la tesi di Orsini basterebbe chiedere allo studente di riepilogare i capitoli precedenti. Prima di invadere la Polonia, pochi mesi dopo aver preso il potere, Hitler aveva tentato di annettere l’Austria una prima volta (fermato da Mussolini, che ancorato al campo occidentale aveva addirittura mandato l’esercito al Brennero), c’era riuscito la seconda (marzo 1938, questa volta senza opposizione), annessi i Sudeti (ottobre 1938, smembrando la Cecoslovacchia in base all’accordo negoziato a Monaco da Mussolini, che lo considerò il maggior successo politico della sua vita). Senza dimenticare l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni (ottobre 1933), la reintroduzione della leva obbligatoria e denuncia delle clausole militari del trattato di Versailles (1935), il potenziamento della flotta (1935, su autorizzazione britannica), la militarizzazione della Renania (1936).

Il 5 novembre 1937 Hitler espose i propri piani di espansione per “mantenere e proteggere il popolo tedesco”, in quello che è passato alla storia come il “Protocollo di Hossbach”. Si trattava della “annessione di nuovo spazio in Europa in immediata continuità territoriale con il Reich”, da ottenere al più tardi entro il 1943-45, anche con la forza. In breve, le alleanze della Polonia c’entravano davvero poco e Hitler aveva avviato la traiettoria di espansione e aggressione ben prima che sorgesse la questione di Danzica.

È sempre la Germania che attacca

La tesi “orsiniana” è smentita anche dal capitolo successivo. Alla dichiarazione di guerra del 3 settembre 1939 Francia e Gran Bretagna non fecero seguire atti concreti. Meno che mai si materializzò l’attacco alle retrovie tedesche da ovest. La Germania ebbe così buon gioco nel superare la resistenza di Varsavia, con l’ulteriore aiuto dell’Urss che invase la Polonia da est. In ottobre l’Unione Sovietica invase la Finlandia, che aveva rifiutato di cederle territorio e basi; più avanti occuperà anche le repubbliche baltiche, in precedenza costrette ad accettare una sgradita protezione. Dopo un inverno di surreale immobilità, per il quale non a caso fu creato il termine di “drole de guerre” (“strana guerra”), il 9 aprile 1940 la Germania invase Danimarca e Norvegia; il 10 maggio fu il turno dell’Europa continentale, con l’attacco simultaneo a Olanda, Belgio e Francia. Un mese dopo l’Italia, preoccupata che una troppo larga vittoria tedesca ridisegnasse a proprio svantaggio gli equilibri continentali, dichiarò guerra alla Francia, nell’errato convincimento di un conflitto ormai deciso e di breve durata.

Era ancora una guerra europea (sia pure comprendendo, nella logica del tempo, anche i territori coloniali delle grandi potenze), nella quale la Gran Bretagna resisteva da sola contro Germania e Italia. Anche quando Hitler, il 22 giugno 1941, attaccò a sorpresa l’Urss, violando il patto di appena due anni prima, la guerra rimase europea. A renderla mondiale fu di nuovo la Germania, quando dichiarò guerra agli Stati Uniti per solidarietà con il proprio alleato Giappone, che il 7 dicembre 1941 aveva attaccato Pearl Harbor.

Una responsabilità fuori discussione

Comunque la si guardi, la responsabilità dello scoppio della guerra nel 1939 e di ogni suo successivo ampliamento fu della Germania, in perfetto accordo con le teorie espansioniste e suprematiste delle quali Hitler non aveva mai fatto mistero. Se pure Francia e Gran Bretagna non avessero dichiarato guerra, non vi è alcun appiglio per sostenere che Hitler avrebbe rinunciato alla ricerca dello “spazio vitale” di cui riteneva la Germania avesse bisogno. Se le potenze occidentali fossero rimaste a guardare, avrebbe in compenso avuto più agevolmente modo di applicare integralmente il proprio programma di sterminio delle popolazioni sgradite e di riduzione delle altre in uno stato di schiavitù, alfabetizzata quel tanto che bastava per comprendere gli ordini della “razza ariana” loro padrona.

È probabile che queste cose Orsini le sappia benissimo, perché – a parte qualche dettaglio tecnico – sono parte del patrimonio culturale collettivo. Proprio per questo, non si può paragonarlo allo studente svogliato che conta sul docente distratto per passare l’esame per cui non ha studiato. In questo senso, sostenere che nel 1939 Hitler non volesse la guerra è solo una strumentalizzazione della storia per fini politici. Il consenso che si cerca non è quello della comunità accademica – o almeno di quella degli storici di professione – ma degli svogliati che a scuola si facevano passare il compito e per non farsi beccare ne facevano parafrasi ancor più sbagliate. Un pubblico purtroppo sempre numeroso, che oggi nei paper lascia persino i collegamenti attivi a Wikipedia, e che è facilmente attratto da tesi che sembrano originali ma che sono semplicemente errate.

Per farla breve: agli storici suona strano vedere che per evitare l’ingresso della Nato di Svezia e Finlandia Orsini assolve Hitler di una responsabilità largamente ammessa dagli storici tedeschi. Ai politici può far comodo.

Nota

Sul Fatto Quotidiano del 14 maggio (“Cosa penso (davvero) su Nato, Usa, Ucraina, russi e guerre di Hitler”) dice di essere stato smentito «sulle colonne di un quotidiano online, ma inventando una frase che non ho mai pronunciato». Invitiamo i lettori a verificare a confrontare i virgolettati da noi attribuiti a Orsini con la registrazione pubblicata da Open e trarne le proprie conclusioni sull’attendibilità della smentita e delle offese rivolteci. (G.A.)


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